Attualità
Strage Fidene, gli psichiatri che hanno visitato Campiti: “Pensa di essere in guerra, è pericoloso”

Secondo gli psichiatri del carcere di Regina Coeli, Claudio Campiti soffre della ‘sindrome dell’Apocalisse’: è convinto di essere sotto assedio, ed è una persona molto pericolosa.
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Una persona pericolosa, in preda a un delirio paranoide ma allo stesso tempo lucida e capace di organizzarsi per ottenere tutto ciò che vuole. È la descrizione che gli psichiatri del carcere di Regina Coeli hanno fatto oggi in aula di Claudio Campiti, l’uomo che l’undici dicembre 2022 ha ucciso quattro donne nel gazebo di un bar a Fidene, mentre era in corso la riunione del consorzio Valleverde. L’uomo, accusato di omicidio volontario, è stato arrestato subito dopo la strage: convinto di essere vittima di un complotto, non ha mai chiesto scusa per gli omicidi, ed è anche capitato che in aula insultasse i familiari delle vittime.
“Campiti soffre della sindrome dell’Apocalisse, quello stato paranoico tipico di chi pensa di essere sotto assedio e aspetta la guerra. È una persona pericolosa che può organizzarsi per ottenere ciò che vuole. Una persona lucida”, hanno dichiarato in aula i medici.
Campiti era convinto di aver subito dei torti dal Consorzio Valleverde, un residence di Villette nella zona del lago del Turano, soprattutto seconde case per chi abita a Roma. Claudio Campiti lì, invece, ci viveva. Ma la sua casa non era mai stata completata: lo scheletro della villetta, alla quale era appeso uno striscione con…
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Transfobia dopo il Pride: un’aggressione che svela l’altra faccia di Roma
Attualità
La bandiera della Palestina a Ponza: un gesto di solidarietà e la deriva dell’intolleranza

Nella notte tra l’1 e il 2 giugno, intorno alle 2:30, un gruppo di barcaioli dell’isola di Ponza è stato oggetto di minacce per un semplice gesto di solidarietà: aver esposto la bandiera della Palestina sulle loro imbarcazioni come simbolo di sostegno ad una popolazione in una delle più gravi crisi umanitarie del nostro tempo. Dopo aver infastidito il guardiano del porto, gli autori dell’intimidazione hanno strappato e rimosso con la forza la bandiera palestinese.
È un episodio che va oltre il fatto in sé, perchè tocca il nervo scoperto di un’Italia che troppo spesso confonde la solidarietà con la provocazione e che si mostra incapace di accettare gesti di umanità se non allineati con un certo sentire politico.
Esporre la bandiera della Palestina, in questo contesto, non equivale a prendere parte a un conflitto, perchè è un’affermazione di empatia per le vittime civili, per i bambini sotto le bombe, per le famiglie distrutte da decenni di violenza. Non significa negare il dolore degli israeliani, né tantomeno giustificare il terrorismo, ma riconoscere la sofferenza di un popolo dimenticato e condannato.
Ponza, isola aperta al mondo, costruita nei secoli sull’accoglienza e sul passaggio di genti diverse, non merita che certi gesti vengano accolti con violenza. Il gesto di quei barcaioli va rispettato, anche da chi non lo condivide, perché la democrazia è proprio questo: il diritto di manifestare un pensiero pacifico, anche scomodo, senza temere ritorsioni.
Chi ha strappato quella bandiera ha voluto togliere voce a una parte della coscienza collettiva, ma non potrà strappare il senso più profondo della solidarietà umana.
In un tempo in cui il silenzio complice è la norma, chi ha il coraggio di esporsi, anche solo con un simbolo, merita rispetto, non intimidazioni.
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