Attualità
“Sono un rifugiato sono solo in difficoltà”, così la convince a fidarsi poi la violenta in una baracca

Vittima è una giovane di 21 anni arrivata a Roma da Bologna per festeggiare il Capodanno con degli amici. I fatti risalgono al dicembre 2022, ieri la condanna a 7 anni di reclusione per il 29enne della Guinea.
Immagine di repertorio
S.D. ha ventinove anni, è nato in Nuova Guinea e da dieci anni vive in Italia. Ha fatto diversi lavori, è passato per diverse città e il suo non è di certo un percorso migratorio di successo. Nel dicembre del 2022 non ha un lavoro e vive di espedienti. L’ultimo giorno dell’anno conosce in zona Termini una ragazza. Ha ventuno anni, è arrivata da Bologna dove studia per fare festa con gli amici e aspettare il nuovo anno. Lui riesce a convincerla di essere un profugo in difficoltà, le racconta una storia e riesce a conquistare la sua fiducia.
È sorridente e simpatico, non sembra un pericolo alla giovane che decide di fare una passeggiata in centro insieme a lui. Proprio il racconto che le fa della sua vita, dei viaggi e delle difficoltà, appaiono particolarmente sinceri alla ragazza e anche nelle ricostruzioni in aula saranno determinanti per farle abbassare le difese e a non percepire il pericolo. Lui le offre della marijuana, lei accetta e finisce per farsi condurre nella baracca dove vive, in un insediamento abusivo a ridosso di Villaggio Olimpico, sotto un ponte. Qui la ragazza viene aggredita e violentata dall’uomo che la immobilizza. Dopo la violenza sessuale riesce a scappare e a denunciare quanto accaduto, facendo arrestare il 29enne che ora è stato condannato a 7 anni di…
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Transfobia dopo il Pride: un’aggressione che svela l’altra faccia di Roma
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La bandiera della Palestina a Ponza: un gesto di solidarietà e la deriva dell’intolleranza

Nella notte tra l’1 e il 2 giugno, intorno alle 2:30, un gruppo di barcaioli dell’isola di Ponza è stato oggetto di minacce per un semplice gesto di solidarietà: aver esposto la bandiera della Palestina sulle loro imbarcazioni come simbolo di sostegno ad una popolazione in una delle più gravi crisi umanitarie del nostro tempo. Dopo aver infastidito il guardiano del porto, gli autori dell’intimidazione hanno strappato e rimosso con la forza la bandiera palestinese.
È un episodio che va oltre il fatto in sé, perchè tocca il nervo scoperto di un’Italia che troppo spesso confonde la solidarietà con la provocazione e che si mostra incapace di accettare gesti di umanità se non allineati con un certo sentire politico.
Esporre la bandiera della Palestina, in questo contesto, non equivale a prendere parte a un conflitto, perchè è un’affermazione di empatia per le vittime civili, per i bambini sotto le bombe, per le famiglie distrutte da decenni di violenza. Non significa negare il dolore degli israeliani, né tantomeno giustificare il terrorismo, ma riconoscere la sofferenza di un popolo dimenticato e condannato.
Ponza, isola aperta al mondo, costruita nei secoli sull’accoglienza e sul passaggio di genti diverse, non merita che certi gesti vengano accolti con violenza. Il gesto di quei barcaioli va rispettato, anche da chi non lo condivide, perché la democrazia è proprio questo: il diritto di manifestare un pensiero pacifico, anche scomodo, senza temere ritorsioni.
Chi ha strappato quella bandiera ha voluto togliere voce a una parte della coscienza collettiva, ma non potrà strappare il senso più profondo della solidarietà umana.
In un tempo in cui il silenzio complice è la norma, chi ha il coraggio di esporsi, anche solo con un simbolo, merita rispetto, non intimidazioni.
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