Attualità
Verdini rischia il processo per indagine su commesse in Anas, il figlio Tommaso patteggia 2 anni

Tommaso Verdini ha patteggiato a due anni e nove mesi nell’ambito di un’inchiesta in merito a presunte irregolarità nell’affidamento di commesse dell’Anas. Chiuse le indagini sul padre, Denis Verdini, che ora rischia il rinvio a giudizio.
L’ex parlamentare Denis Verdini rischia il processo e il figlio Tommaso ha patteggiato a due anni e nove mesi. Entrambi sono coinvolti nell’indagine della procura di Roma in merito a presunte irregolarità nell’affidamento di commesse dell’Anas. Nel caso di Verdini junior il gup ha dato l’ok alla richiesta di conversione della pena ai lavori di pubblica utilità. Il giudice ha inoltre ratificato il patteggiamento a un anno e nove mesi, pena sospesa, per l’imprenditore Angelo Ciccotto. I pm hanno contestato, a vario titolo, i reati di corruzione e turbativa d’asta. Nel procedimento, Anas si è costituita parte civile.
La procura di Roma ha inoltre chiuso il filone di indagine che riguarda Denis Verdini. L’atto di conclusione è stato notificato alcune settimane fa ed è stato depositato oggi nel corso dell’udienza. All’ex parlamentare, gli inquirenti contestano il reato di corruzione in concorso.
Secondo i pm, alcuni indagati avrebbero accettato “la promessa di utilità” da parte di Denis Verdini e del figlio Tommaso, che in sostanza consistevano “nel loro intervento e raccomandazioni in sedi politiche e istituzionali per la conferma in posizioni apicali di Anas o comunque la ricollocazione in ruoli apicali ben remunerati di organismi di diritto pubblico”.
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Attualità
Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

Di fronte all’annuncio del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara di estendere il divieto dell’uso dei cellulari anche agli studenti delle scuole superiori a partire dal prossimo anno scolastico, l’opinione pubblica si spacca: da un lato c’è chi accoglie con favore la misura, considerandola una necessaria inversione di rotta per ridare centralità alla didattica, dall’altro lato, non mancano le critiche: è davvero questo il modo giusto per affrontare il problema?
Valditara parla di un “intervento improcrastinabile”, giustificato dagli “effetti negativi ampiamente dimostrati dalla ricerca scientifica”. In effetti, numerosi studi hanno messo in luce il legame tra l’uso eccessivo degli smartphone e cali di attenzione, peggioramento del rendimento scolastico, aumento dell’ansia e disturbi del sonno.
Tuttavia, vietare l’utilizzo degli smartphone in classe può sembrare un approccio troppo rigido, quasi punitivo. Non tutti gli studenti usano il cellulare per distrarsi: alcuni lo sfruttano come strumento di studio, per cercare informazioni, tradurre testi, accedere a materiali didattici. Bandirlo in modo assoluto rischia di mandare un messaggio sbagliato: lo smartphone è un nemico, e non un mezzo da imparare a gestire.
Forse è proprio qui il nodo centrale della questione: educare, piuttosto che proibire. In un mondo in cui la tecnologia penetra ogni aspetto della vita quotidiana e lavorativa, non sarebbe più utile insegnare ai ragazzi un uso consapevole e responsabile degli strumenti digitali? Imparare a staccarsi dallo schermo, a concentrarsi, a distinguere tra tempo utile e tempo perso, è una competenza fondamentale tanto quanto la grammatica o la matematica.
Inoltre, c’è da chiedersi quanto il divieto sarà davvero applicabile e quanto sarà efficace. Chi controllerà? Con quali sanzioni? Non si rischia di creare solo tensione tra docenti e studenti, senza risolvere il problema alla radice?
Il provvedimento annunciato dal ministro Valditara ha il merito di rimettere al centro il valore del tempo scolastico e l’urgenza di affrontare la questione del digitale tra i giovani. Tuttavia, un vero cambiamento culturale richiede più di un semplice divieto: serve un’educazione digitale integrata, una collaborazione tra scuola e famiglia, e una riflessione collettiva su che tipo di cittadini vogliamo formare.
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