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Si schianta con la moto il giorno del compleanno della figlia: Antonio Mattioli muore a 39 anni

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Si schianta con la moto il giorno del compleanno della figlia: Antonio Mattioli muore a 39 anni

Si chiamava Antonio Mattioli l’uomo di 39 anni morto ieri in un incidente stradale a Supino. Mattioli, padre di tre figli, è uscito fuori strada con la sua moto.

Si chiamava Antonio Mattioli l’uomo morto ieri in seguito a un tragico incidente stradale avvenuto in via la Quercia, a Supino, in provincia di Frosinone. Per il 39enne, purtroppo, non c’è stato nulla da fare: nonostante l’immediato intervento del 118 è deceduto praticamente sul colpo a causa del violento impatto con l’asfalto, che gli ha causato ferite letali. Gli operatori sanitari non hanno potuto fare altro che accertarne il decesso. Secondo quanto ricostruito dai carabinieri della locale stazione, l’incidente che ha causato la morte di Mattioli non ha visto il coinvolgimento di altre vetture.

Operaio in un’azienda di Colleferro, lascia una moglie e tre figli piccoli: a rendere ancora più tragico il suo decesso, come riportato da Il Messaggero, il fatto che sia avvenuto nel giorno del compleanno di una delle figlie. Sembra che il 39enne, che aveva una grande passione per le moto, abbia deciso di uscire a fare un giro. Quella che però doveva essere una semplice uscita, si è tramutata in un evento terribile per Mattioli e tutta la sua famiglia.

Antonio Mattioli era molto conosciuto nel paese dove viveva. Tutti lo ricordano come una persona gentile, disponibile e alla mano, innamorato della propria famiglia.

Tragedia nel Frusinate, perde il controllo del motorino e si schianta: morto un 39enne

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Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

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Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

Di fronte all’annuncio del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara di estendere il divieto dell’uso dei cellulari anche agli studenti delle scuole superiori a partire dal prossimo anno scolastico, l’opinione pubblica si spacca: da un lato c’è chi accoglie con favore la misura, considerandola una necessaria inversione di rotta per ridare centralità alla didattica, dall’altro lato, non mancano le critiche: è davvero questo il modo giusto per affrontare il problema?

Valditara parla di un “intervento improcrastinabile”, giustificato dagli “effetti negativi ampiamente dimostrati dalla ricerca scientifica”. In effetti, numerosi studi hanno messo in luce il legame tra l’uso eccessivo degli smartphone e cali di attenzione, peggioramento del rendimento scolastico, aumento dell’ansia e disturbi del sonno.

Tuttavia, vietare l’utilizzo degli smartphone in classe può sembrare un approccio troppo rigido, quasi punitivo. Non tutti gli studenti usano il cellulare per distrarsi: alcuni lo sfruttano come strumento di studio, per cercare informazioni, tradurre testi, accedere a materiali didattici. Bandirlo in modo assoluto rischia di mandare un messaggio sbagliato: lo smartphone è un nemico, e non un mezzo da imparare a gestire.

Forse è proprio qui il nodo centrale della questione: educare, piuttosto che proibire. In un mondo in cui la tecnologia penetra ogni aspetto della vita quotidiana e lavorativa, non sarebbe più utile insegnare ai ragazzi un uso consapevole e responsabile degli strumenti digitali? Imparare a staccarsi dallo schermo, a concentrarsi, a distinguere tra tempo utile e tempo perso, è una competenza fondamentale tanto quanto la grammatica o la matematica.

Inoltre, c’è da chiedersi quanto il divieto sarà davvero applicabile e quanto sarà efficace. Chi controllerà? Con quali sanzioni? Non si rischia di creare solo tensione tra docenti e studenti, senza risolvere il problema alla radice?

Il provvedimento annunciato dal ministro Valditara ha il merito di rimettere al centro il valore del tempo scolastico e l’urgenza di affrontare la questione del digitale tra i giovani. Tuttavia, un vero cambiamento culturale richiede più di un semplice divieto: serve un’educazione digitale integrata, una collaborazione tra scuola e famiglia, e una riflessione collettiva su che tipo di cittadini vogliamo formare.

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Transfobia dopo il Pride: un’aggressione che svela l’altra faccia di Roma

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Transfobia dopo il Pride: un’aggressione che svela l’altra faccia di Roma

Mentre le strade di Roma risuonavano ancora di musica, canti e slogan del Pride, un episodio vergognoso ha ricordato a tutti quanto sia ancora lunga la strada verso una reale inclusione: sabato 14 giugno, intorno alle 19:40, subito dopo la fine del Roma Pride, che ha visto la partecipazione di oltre 200.000 persone, una donna trans è stata aggredita nei pressi della stazione Laurentina della linea B della metropolitana.

Secondo quanto denunciato da Gay Help Line, la vittima è stata bersagliata da insulti transfobici e poi inseguita da un uomo. Le frasi urlate “Frocio!”, “Si vede che sei un uomo!” sono lo specchio di un odio che continua a diffondersi nella nostra società, anche quando i riflettori delle grandi manifestazioni si spengono. Fortunatamente, alcuni passanti sono intervenuti, permettendo alla donna di mettersi in salvo su un autobus.

Il servizio di supporto Gay Help Line, che ha ricevuto la segnalazione attraverso il numero verde 800 713 713, lancia ora un appello a chiunque fosse presente in quel momento alla fermata: servono testimonianze, immagini, qualunque elemento possa aiutare a identificare l’aggressore.

In una città che poche ore prima celebrava l’amore, la libertà e la diversità, è inaccettabile che un’aggressione del genere possa accadere in pieno giorno, in un luogo pubblico, tra l’indifferenza di molti.

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