Cronaca
ROMA Movida sempre più pazza: 5 fermi per rissa e 4 arresti per rapina

ROMA Movida sempre più pazza: 5 fermi per rissa e 4 arresti per rapina.
ROMA Movida sempre più pazza. Particolarmente attenzionati da parte dei Carabinieri, nel corso del weekend, i quartieri di Trastevere e San Lorenzo. L’attività si è concentrata soprattutto sul far rispettare le prescrizioni anti Covid 19, anche se non sono mancati interventi di repressione di fenomeni di illegalità. Oltre 300 gli identificati, 31 dei quali sanzionati, all’interno di un’associazione culturale di San Lorenzo, per violazioni delle norme sugli assembramenti. 2 invece le persone multate mentre sorseggiavano bevande alcoliche su Ponte Sisto: a loro carico l’inottemperanza della Delibera comunale che ne vieta il consumo dopo le 23. A entrambi è stata comminata una sanzione amministrativa di 160 euro. 16 invece le attività commerciali controllate, solo 2 delle quali sanzionate: una a Trastevere, per omessa tracciabilità degli alimenti, l’altra a San Lorenzo, per violazione delle norme anti Covid. Per quest’ultima è stata disposta la chiusura per 5 giorni.
5 come gli identificati, questa notte poco prima delle 3, a Piazza Trilussa. Si tratta di giovani romani, di età compresa tra i 20 e i 30, incensurati. Per 4 di loro sono scattate le manette per rissa aggravata, reato costato invece una denuncia al quinto. In 4 hanno dovuto ricorrere alle medicazioni dei sanitari: ne avranno per periodi dai 5 ai 30 giorni. Per un quinto componente è stato invece necessario il ricovero. A quanto si apprende, la lite, poi degenerata in rissa, sarebbe scoppiata per apprezzamenti ad alcune ragazze.
Allo scalo di San Lorenzo sono invece finiti in manette 4 giovani romani, di età compresa tra i 24 e i 46 anni. Avrebbero aggredito un bengalese di 38 anni, titolare di una paninoteca, e un dipendente, suo connazionale. Quest’ultimo sarebbe intervenuto a difesa del titolare, ricevendo però un pugno in pieno volto. A dar luogo all’aggressione la richiesta dei 4, rifiutata dal 38enne, di avere 4 panini dopo averne pagato solo uno.
Nel corso dell’attività, non sono mancati infine i ritrovamenti di droga: con l’ausilio di un’unità cinofila, i Carabinieri hanno infatti recuperato, e poi sequestrato, alcune dosi di hashish abbandonate in strada.
Attualità
Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.
L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.
Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?
A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.
I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.
Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.
Ultime Notizie Roma
Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?
È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.
Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica
Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.
Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.
La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.
La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.
Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.
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