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MUNICIPIO VII Scuola Gianni Rodari, i genitori alle istituzioni: “Scaglionate gli ingressi”

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MUNICIPIO VII Scuola Gianni Rodari, i genitori alle istituzioni: “Scaglionate gli ingressi”

La Scuola Gianni Rodari nel quadrante del Municipio VII sta riscontrando delle difficoltà con le disposizioni sugli ingressi dei giovani studenti. I genitori si appellano alle istituzioni

A Via Norcia sorge la scuola Gianni Rodari che ospita sia la scuola dell’infanzia che la scuola elementare. Il grande afflusso di studenti e genitori, in periodo di Covid-19, non lascia tranquilli i genitori e gli stessi bambini. Seppur ci siano degli orari scaglionati, le maggiori difficoltà riguardano l’ingresso e il flusso della scuola dell’infanzia. Ed è per questo che i genitori dei piccoli alunni si sono uniti e hanno chiesto aiuto alle istituzioni competenti. Dalle notizie che ci sono giunte e che abbiamo verificato, è stata inoltrata una lunga e dettagliata lettera al Presidente del Municipio VII, Monica Lozzi. Le richieste fatte riguardano una maggiore flessibilità degli orari di entrata e di uscita, fasce che terrebbero conto delle esigenze lavorative dei genitori. In tal modo, a loro detta, si creerebbe meno affollamento e sovrapposizione con l’entrata della scuola primaria.

“…Come è noto la scuola dell’infanzia prima della pandemia osservava i seguenti orari: 8-17 e si potevano portare e riprendere i bambini in una determinata fascia oraria con relativa elasticità. Oggi invece ci troviamo costretti ad usufruire del servizio ben 55 minuti più tardi dato che primo scaglione di entrata è stato fissato alle 8:55 e l’uscita dalle ore 15.15 alle 15.55…”.

Questo uno dei passaggi della lettera inviata a cui segue la proposta di modifica: “…Vorremmo che venisse presa in considerazione la possibilità di organizzare due fasce di entrata e due fasce di uscita (come viene fatto nel plesso della Cagliero che ha la stessa situazione di convivenza di scuole di diverso grado) Entrata : Fascia1 : 8:00/8:10 Fascia 2 : 8:55/9:10 Uscita Fascia1: 14:30/14:45 Fascia 2 : 15:45/16:05 L’organizzazione delle diverse attività proposte dai servizi educativi e dalle scuole dell’infanzia dovrà tenere conto, come previsto nel Piano Scuola 2020-2021, dei bisogni dei bambini, conciliandoli, al contempo, con le esigenze lavorative dei genitori, nel rispetto delle indicazioni fornite“.

A questo grido di aiuto, però, ancora non è giunta risposta dalle istituzioni competenti. Sicuri di un epilogo soddisfacente per tutti, auspichiamo un pronto tavolo tra genitori e istituzioni per il bene di tutti i bambini.

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.

L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.

Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?

A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.

I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.

Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?

È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.

Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica

Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.

Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.

La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.

La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.

Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.

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