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Tor Marancia, uomo aggredito dall’ex moglie davanti ai figli. Immediatamente ricoverato

Episodio di cronaca a Tor Marancia dove un uomo è stato picchiato dall’ex moglie.

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Tor Marancia, uomo aggredito dall’ex moglie davanti ai figli. Immediatamente ricoverato

Tor Marancia, quando la violenza non è solo sulle donne ma anche sugli uomini.

Era circa dieci giorni fa, quando a Tor Marancia, quartiere a sud della Capitale nell’ottavo municipio, una lite fra ex coniugi è sfociata in violenza con tanto di intervento di Carabinieri e ricovero all’ospedale.

Troppo spesso si dimenticano i casi di violenza contro gli uomini, costretti il più delle volte a subire, oltre a quella psicologica, anche la violenza fisica, come è accaduto a Tor Marancia, il pomeriggio del venticinque gennaio, dove una lite, fra due ex coniugi, ha portato un uomo di circa 40 anni, a subire un intervento al naso, dopo che la sua ex moglie lo ha colpito alle spalle, procurandogli la rottura del setto nasale.

Gli eventi di Tor Marancia

La coppia, lui romano lei tunisina, sono stati sposati per dieci anni e da circa due anni si sono separati, ma con qualche ruggine di troppo. Come spesso capita le questioni di litigio nascono per i figli, due in questo caso, uno di 11 anni e l’altra di 7. In seguito alla separazione il giudice, ha ordinato che il padre debba vedere i suoi figli due volte alla settimana.

Il 24 gennaio, come di consueto il padre andava a prendere i figli direttamente al campo sportivo, ma i bambini non c’erano e allora informandosi attraverso la suocera, veniva a sapere che i ragazzi stavano a casa con la madre. A detta dell’uomo uno dei due figli piangeva perché non era andato a fare attività sportiva, e il papà chiedeva spiegazioni alle due donne che subito iniziavano ad insultarlo “Vaffanculo, non rompere il cazzo”, urlando ad alta voce davanti ad altri condomini, compresi i genitori dell’uomo che proponevano di andare a parlare in altro luogo proprio per non fare troppo rumore.

Ma ecco che, proprio mentre la situazione stava rientrando, la donna sferra un pugno in faccia alle spalle dell’uomo che accusa il colpo accasciandosi a terra coperto da una pozza di sangue che usciva dal naso. La donna poi si buttava a terra dicendo di sentirsi male (un classico purtroppo…)

Nel condominio di Tor Marancia accade il panico: urla, grida, sangue, il tutto davanti ai due piccoli bambini che hanno visto la madre sferrare un pugno in faccia al suo ex marito. Celere l’intervento sia dell’autoambulanza che dei Carabinieri, giunti immediatamente sul posto con due autovetture.

All’uomo ricoverato al pronto soccorso dell’Ospedale Umberto I di Roma dopo essere
stato visitato, entrato con codice arancione, gli veniva rilasciata la seguente diagnosi: “Contusione del volto con frattura ossa nasali”, ricevendo venti giorni di prognosi e l’appuntamento di pre-ospedalizzazione per essere operato.

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A Roma arrivano i castori…

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.

L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.

Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?

A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.

I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.

Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?

È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.

Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica

Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.

Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.

La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.

La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.

Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.

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