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Cronaca

“Questo è il mio nuovo numero”: torna a Roma l’Sms truffa. Come difendersi

“Questo è il mio nuovo numero”: il racconto di una donna residente a Roma Sud

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“Questo è il mio nuovo numero”: torna a Roma l’Sms truffa. Come difendersi

“Questo è il mio nuovo numero”. Recita così l’ultimo messaggio truffa, che in questi giorni ha colpito a Roma.

Rivolto ai soggetti più vulnerabili, anziani e genitori, esso coinvolge anche Whatsapp. E se hai la sfortuna di cascarci, è meglio che ti prepari a vedere il tuo conto corrente ripulito. In realtà non si tratta di una novità, ma di un’iniziativa che si ripete ciclicamente.

Prendendo di mira quasi sempre le stesse persone. Non tutte però cadono nel tranello, anzi sempre di più denunciano alla Polizia postale. Ciò tuttavia non scoraggia i malviventi, che agiscono un pò in tutta Italia, ma in particolare nella Capitale.

Tra i colpiti infatti una donna, mamma e nonna, residente nel quadrante Sud della città. Le è arrivato un sms dal numero 3489011098 con questo testo: “Ciao mamma, questo è il mio nuovo numero. Lo salvi e mi mandi un messaggio su Whatsapp per favore?“. Dopo che le figlie le hanno confermato di non averglielo mandato, la donna si è rivolta alla Polizia.

E se avesse risposto? Avrebbe effettuato operazioni bancarie in favore del criminale celato dietro il numero mittente. Ma queste esche non vengono inviate solo alle mamme. Tra i messaggi che circolano, ce n’è infatti uno, sulla stessa linea del precedente, indirizzato però ai papà.

“QUESTO E’ IL MIO NUOVO NUMERO”: L’SMS-TRUFFA PER I PAPA’

Papà, mi è caduto il telefono. Mi mandi un Whatsapp al nuovo numero?“, il contenuto. Accompagnato da un link, che, se cliccato, spedisce sul numero dei truffatori, con richiesta di dati personali. Tra questi l’Iban, che dovrebbe consentire al finto figlio di far fronte al malfunzionamento della sua App bancaria e di pagare una bolletta.

Anche in questo caso, non bisogna fornire il codice, ma contattare il proprio figlio per accertarsi se sia stato davvero lui a inviare il messaggio. Dopodichè, spiega la Polizia postale, bisogna cancellare sia la conversazione che il numero, qualora quest’ultimo sia stato salvato in rubrica.

STUPRO A NATALE A ROMA, IL RACCONTO DELLE DUE VITTIME

Attualità

Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.

L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.

Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?

A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.

I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.

Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.

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Ultime Notizie Roma

Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?

È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.

Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica

Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.

Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.

La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.

La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.

Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.

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