Cronaca
Ryder Cup 2023, valanga di arresti dei Carabinieri di Roma
Ryder Cup 2023, attivate le misure di sicurezza per la manifestazione sportiva in corso nella Capitale

Ryder Cup 2023, tutto deve filare liscio. Questo l’imperativo nel Comando provinciale dei CC di Roma, dove si stanno monitorando i contorni del confronto Italia-USA.
E, secondo quanto riporta ItalPress, sarebbero già stati eseguiti i primi provvedimenti. 11 persone finite in manette con a carico gravi indizi di furto. Tra essi, un 37enne romeno, con precedenti, fermato in via Nazionale. E’ accusato di aver derubato un turista austriaco di 50 anni.
Quest’ultimo sarebbe stato avvicinato nei pressi di una fermata del bus e, con un’abile mossa, privato dello smartphone che teneva in tasca. Fortunatamente però il ladro è stato bloccato e il telefono è tornato dal legittimo proprietario.
Altri tre romeni, due donne e un uomo, di età compresa tra i 20 e i 26 anni, sono invece finiti nella rete in piazza del Colosseo. Avrebbero preso di mira una turista tedesca, alla quale stavano provando a sottrarre il portafogli. L’intervento dei militari ha tuttavia evitato alla donna la perdita di documenti e denaro.
Spostiamoci a via del Bufalo, dove le manette sono scattate per un cubano di 36 anni. Mentre lo pedinavano fuori da un hotel, i Carabinieri hanno notato che aveva portato via lo zaino ad un turista americano. Era riuscito ad agire indisturbato approfittando che l’uomo era impegnato nel check-in. Anche in questo caso la refurtiva è stata recuperata e restituita.
RYDER CUP 2023, SVENTATI FURTI IN METRO
Statunitense anche la vittima di due peruviani di 22 e 34 anni, nei pressi della fermata metro ‘Spagna’. Il bottino un portafogli, rientrato alla fine nelle mani del proprietario. Il quale ha favorito l’arresto dei due malviventi, riuscendo a bloccarli in attesa dell’arrivo delle forze dell’ordine. A loro queste ultime hanno portato via anche un altro borsellino, in precedenza sottratto ad un turista ungherese.
Restando in ambito metro, a Barberini un peruviano di 46 anni e un cubano di 23 sono stati arrestati in flagranza di reato. Avrebbero seguito su un treno un turista francese, al quale avrebbero provato a sottrarre con destrezza il portafogli. Stessi dettagli che sono costati a Ottaviano l’arresto ad un 20enne romeno. Il giovane era con due complici, riusciti a fuggire a piedi.
Complici che aveva anche il cileno di 35 anni pizzicato in via di San Teodoro. Stava portando via borsoni e valigie da un’auto parcheggiata in uso ad un turista americano. Nell’occasione il veicolo è stato danneggiato ad uno dei deflettori posteriori, infranto dai ladri.
Attualità
Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.
L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.
Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?
A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.
I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.
Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.
Ultime Notizie Roma
Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?
È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.
Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica
Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.
Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.
La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.
La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.
Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.
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