Mondo
Gaza: 31 neonati prematuri a rischio di morte trasferiti dall’ospedale di Al-Shifa

Gaza – 31 neonati in pericolo di vita sono stati salvati dall’ospedale Al-Shifa nel nord di Gaza e trasferiti nel sud della Striscia. L’UNICEF, in collaborazione con l’OMS, l’UNRWA, l’OCHA e l’UNMAS, nell’ambito di uno sforzo interagenzie delle Nazioni Unite, insieme alla Società della Mezzaluna Rossa Palestinese, alle autorità mediche e al personale dell’ospedale, ha condotto l’operazione in condizioni estremamente pericolose.
Le condizioni dei neonati stavano rapidamente peggiorando, con il rischio di seguire la tragica morte di molti altri bambini, visto il collasso totale di tutti i servizi medici di Al-Shifa. I neonati sono stati trasferiti, su richiesta delle autorità sanitarie, in incubatrici a temperatura controllata, sotto la supervisione del personale medico dell’ospedale Al-Shifa, all’ospedale Al-Helal Al-Emarati di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, dove le loro condizioni si stanno ora stabilizzando e sono assistiti nel reparto di terapia intensiva neonatale.
L’UNICEF e i partner stanno sostenendo l’identificazione e la registrazione dei bambini per aiutarli a rintracciare e a riunirli con i loro genitori e familiari, ove possibile. Dall’inizio dell’escalation, l’UNICEF ha consegnato forniture mediche e neonatali agli ospedali delle aree meridionali e centrali della Striscia, per sostenere circa 244.000 persone, compresi i neonati in altre unità di terapia intensiva neonatale. Inoltre, cinque ospedali sono stati riforniti di acqua tramite camion per rendere disponibile il minimo indispensabile di 3 litri a persona al giorno per circa 50.000 persone.
Gli ospedali, le strutture sanitarie e il personale devono essere protetti dagli attacchi. Devono essere prese tutte le misure necessarie per evitare che i pazienti, gli operatori sanitari e i civili siano vittime di violenze. L’UNICEF continua a chiedere un immediato cessate il fuoco umanitario e a garantire che il carburante e le forniture mediche salvavita raggiungano le strutture mediche ovunque esse si trovino.
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Attualità
L’ 8 e il 9 Giugno si vota: una scelta che riguarda tutti

L’8 e il 9 giugno milioni di cittadini italiani sono chiamati alle urne per esprimersi su due referendum abrogativi, che toccano temi centrali come il lavoro e l’immigrazione, e come troppo spesso accade, milioni di persone non ci andranno: rimarranno a casa per disillusione, per indifferenza, perché “tanto non cambia nulla”.
È una rinuncia, non solo a un diritto, ma a una possibilità concreta di contare, di orientare scelte che riguardano il lavoro e le politiche migratorie. Si vota per dire sì o no a norme che regolano direttamente i diritti dei lavoratori e le politiche migratorie.
Non partecipare a questo processo è un errore e, in parte, una colpa. Perché chi non vota, lascia agli altri la responsabilità di decidere. Ogni voto perso è un pezzo di democrazia lasciato indietro, un’occasione che si spegne.
In Italia siamo spesso bravi a lamentarci, a denunciare l’incoerenza dei partiti, l’inutilità delle istituzioni, la distanza della politica. Ma poi, quando c’è l’occasione per fare la propria parte, si resta indietro, si sceglie il silenzio.
Votare non è un atto eroico, non risolve tutto, non cambia il mondo da un giorno all’altro, ma è un segnale di partecipazione. C’è chi ha lottato, chi ha marciato, chi ha sfidato regimi, censure e repressioni per ottenerlo. In Italia, fino al 1946 le donne non potevano votare, è passato meno di un secolo, e prima ancora milioni di italiani – poveri, analfabeti, lavoratori – erano esclusi dalle urne per legge.
Il suffragio universale è una conquista recente ed è costato sacrifici e battaglie civili. E oggi, non partecipare al voto con indifferenza significa anche mancare di rispetto a quella memoria, a chi ha aperto la strada per farci contare e per farci scegliere.
Chi ha perso il diritto al voto, nella storia, sa quanto vale.
Noi lo diamo per scontato, e invece oggi, più che mai, va difeso.
L’8 e il 9 giugno si vota. Non è uno slogan, è un invito, ma anche qualcosa di più: una responsabilità personale e collettiva. Chi se ne tira fuori, poi, non potrà dire che la politica non lo rappresenta, perché ha scelto di non esserci.
Attualità
Statua Venere a Berlino rimossa per sessismo: arte sotto attacco o censura culturale?

Una decisione che fa discutere in tempi in cui la sensibilità collettiva verso le questioni di genere è (giustamente) in aumento, la rimozione di una statua raffigurante una Venere nuda a Berlino ha acceso un dibattito infuocato: l’opera, che riprendeva la tradizione classica della nudità femminile, è stata tolta dallo spazio pubblico con l’accusa di essere sessista.
La nudità nell’arte non è pornografia, né oggettificazione del corpo, ridurre ogni rappresentazione del nudo a una questione di “sessismo” è non solo limitato, ma pericolosamente superficiale.
Quando un’opera viene censurata non perché offende, ma perché potrebbe essere interpretata in modo offensivo, entriamo in un terreno dove il contesto, la storia e l’intenzione artistica vengono messi da parte in favore di una morale istantanea e poco riflessiva.
L’arte, per sua natura, non è sempre comoda né rassicurante: provoca, interroga, a volte disturba. Chiedere all’arte di conformarsi a uno standard etico e morale “sicuro” rischia di svuotarla di senso.
Infine, paradossalmente, è proprio questo tipo di censura che rischia di oggettificare la donna: non l’immagine in sé, ma l’idea che una figura femminile nuda non possa esistere nello spazio pubblico senza essere letta come offesa o strumento di dominio. Una donna nuda, in arte, non è automaticamente una vittima: può essere una dea, una madre, o semplicemente un simbolo estetico. Trattarla come un tabù è togliere complessità, non aggiungerla.
La battaglia per l’uguaglianza di genere è sacrosanta, ma confondere le immagini con le intenzioni è una forma di semplificazione che impoverisce tutti.
Rimuovere la statua della Venere a Berlino non è un passo avanti per le donne, ma un passo indietro per la cultura.
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