Attualità
Funerali di Francesco De Paolis al San Camillo: Lutto e Inchiesta

Ultimo Saluto a Francesco De Paolis
Questa mattina, presso la chiesa di Santa Silvia al Portuense, si sono svolti i funerali di Francesco De Paolis, morto improvvisamente all’ospedale San Camillo di Roma dopo aver lamentato un forte mal di gola. Numerose persone si sono unite per esprimere il proprio affetto e sostegno alla famiglia, rendendo omaggio alla memoria di Francesco.
Commozione nella Chiesa di Santa Silvia
Una folla silenziosa e rispettosa ha riempito la chiesa di Santa Silvia al Portuense per l’ultimo saluto a Francesco De Paolis. Il giovane si era recato al pronto soccorso dell’ospedale San Camillo la sera del 31 dicembre 2023 a causa di un intenso mal di gola che non dava tregua. Stamattina, amici e parenti si sono stretti attorno alla famiglia e alla sua compagna, Chiara Romei, per dargli l’ultimo addio. Nel frattempo, la Procura ha avviato un’inchiesta per chiarire le cause del decesso e verificare se si sarebbe potuto evitare. Attualmente, si attendono i risultati dell’autopsia sulla salma.
Messaggi di Condoglianze a Francesco De Paolis
Durante i funerali, la famiglia di Francesco De Paolis e la sua compagna hanno ricevuto numerosissimi messaggi di cordoglio. Tra i vari messaggi, Ambra scrive: “Non posso essere lì a salutarti, ma ti voglio ricordare sempre sorridente, con gli occhi vispi come quelli delle tue bimbe. Fai buon viaggio e dai la forza alla tua famiglia di superare questo difficile momento”. Michela aggiunge: “Ciao amico mio, è arrivato il giorno per darti l’ultimo saluto in attesa della verità! Vola in alto e riposa in pace, ti voglio bene”. Emanuela conclude con: “Proprio oggi nel giorno dell’anniversario della S.S. Lazio, la nostra squadra del cuore, Francesco volerà come la più maestosa delle aquile! Un abbraccio fin lassù”.
Indagini Sulla Prematura Scomparsa di Francesco De Paolis
Il 31 dicembre scorso, Francesco De Paolis non si sentiva bene e soffriva di un forte mal di gola che lo aveva costretto a rientrare a casa da lavoro. Secondo quanto spiegato dalla compagna Chiara in un’intervista a Fanpage.it, Francesco aveva cercato sollievo con uno spray per la gola ma, non trovando miglioramento, si era recato al pronto soccorso del San Camillo alle 19:00. Essendo allergico ad Augmentin ed Oki, la situazione si era complicata.
I fidanzati si erano scambiati alcuni messaggi fino alle 20:33, poi il silenzio. Chiara ricorda: “Mi hanno chiamato dall’ospedale dicendomi di andare subito, perché il mio compagno era grave. La dottoressa mi ha detto che dalle 21 stavano cercando di rianimare Francesco. L’ho trovato intubato in fin di vita ed è morto davanti ai miei occhi”. L’avvocato Cesare Antetomaso spiega che ci sono diversi aspetti da chiarire, tra cui cosa sia accaduto tra gli ultimi messaggi scambiati intorno alle 20:30 e la chiamata dell’ospedale. La preoccupazione della famiglia è che in quel lasso di tempo possa essere successo qualcosa che poteva essere evitato.
Conclusioni e Speranze
Mentre amici e familiari piangono la prematura scomparsa di Francesco De Paolis, si attendono con ansia i risultati dell’inchiesta per fare chiarezza su quanto accaduto quella drammatica sera. La speranza è che la verità emerga per dare pace alla famiglia e assicurare che incidenti simili non si verifichino in futuro.
Attualità
Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.
L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.
Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?
A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.
I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.
Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.
Ultime Notizie Roma
Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?
È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.
Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica
Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.
Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.
La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.
La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.
Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.
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