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I Rischi di Miocardite e Trombosi del Vaccino Covid: Studio su 99 Milioni di Vaccinati

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I Rischi di Miocardite e Trombosi del Vaccino Covid: Studio su 99 Milioni di Vaccinati

Un ampio studio, che ha coinvolto circa 100 milioni di persone vaccinate contro la Covid-19, ha dato ulteriore chiarezza sui potenziali rischi dei farmaci. Questo studio ha esaminato miocardite, pericardite, trombosi e altre reazioni avverse associate al vaccino durante la pandemia.

Nel corso della pandemia di Covid-19, si è discusso molto sulla questione degli effetti collaterali scaturiti dal vaccino. Questi dibattiti hanno spesso dato adito a disinformazione, vantaggiosa alla narrativa antivaccinista. Internet è tuttora pieno di meme, prevalentemente sui social media, che distorcono, fuorviano o inventano completamente le “conseguenze” della vaccinazione. Malgrado le controversie, gli specialisti in epidemiologia hanno continuato a studiare l’impatto dei vaccini sulla diffusione del coronavirus, identificane in modo sempre più preciso i pro e i contro. Il più grande studio mai realizzato sulla sicurezza di questi farmaci ha rivelato il numero di eventi avversi come trombosi, pericardite, miocardite e altre condizioni che sono diventate notizie di rilievo in 99 milioni di individui vaccinati.

Prima di approfondire i risultati dello studio, è importante sottolineare l’importanza dei vaccini nel combattere un patogeno che ha finora ucciso circa 7 milioni di persone. I vaccini anti Covid-19 sono stati ritenuti sicuri ed efficaci attraverso numerosi test clinici e per questo motivo, le principali autorità sanitarie come la FDA, l’EMA e l’AIFA li hanno approvati per combattere la pandemia di Covid-19.

Grazie ai vaccini, sono state prevenute decine di milioni di morti e siamo riusciti a uscire dalle fasi peggiori della pandemia, tra lockdown e altre misure severe. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Lancet Infectious Diseases, solo nel 2021 i vaccini hanno salvato 20 milioni di vite in tutto il mondo.

Nonostante l’efficacia dei vaccini contro il coronavirus SARS-CoV-2, esiste sempre un margine di rischio, proprio come per qualsiasi altro medicinale. Tuttavia, l’approvazione dei vaccini si basa su un delicato equilibrio tra i rischi e i benefici.

Lo studio dei vaccini e l’osservazione continua delle reazioni e degli effetti collaterali sono fondamentali anche dopo la loro commercializzazione. Questo è ciò che il Global Vaccine Data Network (GVDN) ha cercato di fare con il suo progetto Global COVID Vaccine Safety (GcoVS), che ha studiato 13 differenti condizioni, comparando quelle emerse dopo la vaccinazione e quelle teoricamente attese in assenza del vaccino.

Tra le reazioni avverse esaminate nello studio osservazionale, che ha coinvolto quasi 100 milioni di vaccinati, figurano miocardite, pericardite, sindrome di Guillain-Barré, trombosi del seno venoso cerebrale, mielite trasversa, encefalomielite acuta disseminata e altre condizioni. L’occorrenza di queste condizioni è stata anche correlata al tipo di vaccino utilizzato: quello a vettore adenovirale e quello a mRNA.

Gli scienziati dell’Università di Auckland hanno spiegato in un comunicato stampa che l’analisi dei dati serve a identificare potenziali segnali di sicurezza dei vaccini. Dallo studio è emerso che alcuni vaccini anti Covid-19 sono associati significativamente ad alcune delle 13 condizioni esaminate. Tuttavia, i numeri sono talmente bassi che il rapporto rischio/beneficio rimane favorable.

Il rapporto ci mostra che nonostante le reazioni avverse, i benefici del vaccino superano di gran lunga i rischi. Importante è la trasparenza nella comunicazione di questi dati al pubblico. Secondo Ourworldindata, a oggi, sono state somministrate 13,57 miliardi di dosi di vaccino anti Covid e il 70,6% della popolazione mondiale ha ricevuto almeno una dose.

I dettagli della ricerca “COVID-19 vaccines and adverse events of special interest: A multinational Global Vaccine Data Network (GVDN) cohort study of 99 million vaccinated individuals” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Vaccine.

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.

L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.

Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?

A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.

I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.

Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?

È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.

Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica

Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.

Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.

La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.

La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.

Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.

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