Attualità
Autista di Trasporti Pubblici Locali rischia 5 anni di carcere

Accusa di violenza sessuale su una minore
Due uomini, uno di 49 anni e il suo amico di 36, sono attualmente sotto processo con accuse di violenza sessuale di gruppo. La presunta vittima è una ragazza di 14 anni affetta da un disturbo psichico.
Azioni degli sospettati
L.P., un autista Tpl di 49 anni, rischia una penalità di cinque anni e quattro mesi di reclusione per le accuse mosse contro di lui. Si sostiene che abbia ripetutamente abusato della ragazzina, approfittando della sua condizione. L’accusa sostiene che l’uomo l’abbia attirata nella sua casa con una scusa, e ha anche incoraggiato il suo amico a fare lo stesso. Altri individui avrebbero ricevuto i video di tali violenze, portando ad ulteriori accuse di possesso e distribuzione di materiale pedopornografico.
Dettagli sulla presunta violenza
Secondo una relazione de Il Corriere della Sera, l’uomo aveva osservato la ragazza al termine della giornata scolastica. Possedendo la consapevolezza del suo disturbo, l’uomo avrebbe presumibilmente capito che la ragazza non avrebbe opposto resistenza. Dopo averle offerto una sigaretta, la invitò nella sua casa, dove, nel mese di maggio 2022, si sarebbero verificati almeno tre episodi di violenza, documentati dalle telecamere installate nell’abitazione dell’uomo. Le telecamere hanno ripreso anche l’amico dell’uomo che abusava della ragazza, apparentemente invitato dalla stessa persona per farlo.
Stato attuale del processo
Entrambi gli uomini sono attualmente sotto processo con accuse di violenza sessuale di gruppo e possesso di materiale pedopornografico. Il pubblico ministero ha richiesto l’assoluzione per una terza persona, inizialmente accusata di aver assistito ai presunti reati tramite videochiamata. Si sostiene che gli imputati abbiano chiamato questa terza persona, sebbene non avesse richiesto loro di farlo.
Attualità
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Attualità
La bandiera della Palestina a Ponza: un gesto di solidarietà e la deriva dell’intolleranza

Nella notte tra l’1 e il 2 giugno, intorno alle 2:30, un gruppo di barcaioli dell’isola di Ponza è stato oggetto di minacce per un semplice gesto di solidarietà: aver esposto la bandiera della Palestina sulle loro imbarcazioni come simbolo di sostegno ad una popolazione in una delle più gravi crisi umanitarie del nostro tempo. Dopo aver infastidito il guardiano del porto, gli autori dell’intimidazione hanno strappato e rimosso con la forza la bandiera palestinese.
È un episodio che va oltre il fatto in sé, perchè tocca il nervo scoperto di un’Italia che troppo spesso confonde la solidarietà con la provocazione e che si mostra incapace di accettare gesti di umanità se non allineati con un certo sentire politico.
Esporre la bandiera della Palestina, in questo contesto, non equivale a prendere parte a un conflitto, perchè è un’affermazione di empatia per le vittime civili, per i bambini sotto le bombe, per le famiglie distrutte da decenni di violenza. Non significa negare il dolore degli israeliani, né tantomeno giustificare il terrorismo, ma riconoscere la sofferenza di un popolo dimenticato e condannato.
Ponza, isola aperta al mondo, costruita nei secoli sull’accoglienza e sul passaggio di genti diverse, non merita che certi gesti vengano accolti con violenza. Il gesto di quei barcaioli va rispettato, anche da chi non lo condivide, perché la democrazia è proprio questo: il diritto di manifestare un pensiero pacifico, anche scomodo, senza temere ritorsioni.
Chi ha strappato quella bandiera ha voluto togliere voce a una parte della coscienza collettiva, ma non potrà strappare il senso più profondo della solidarietà umana.
In un tempo in cui il silenzio complice è la norma, chi ha il coraggio di esporsi, anche solo con un simbolo, merita rispetto, non intimidazioni.
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