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Cambio al vertice in Ama: accusa di violenza sessuale al presidente Pace, subentra Manzi

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Cambio al vertice in Ama: accusa di violenza sessuale al presidente Pace, subentra Manzi

Pace sostituito da Manzi alla guida di Ama

A Daniele Pace, accusato di violenza sessuale da una dipendente di Ama, subentrerà Bruno Manzi, attuale Capo di Gabinetto della Città Metropolitana di Roma Capitale.

La transizione a capo di Ama

Lascia Daniele Pace, arriva Bruno Manzi. Cambio al vertice in Ama dopo la notizia, anticipata da Repubblica, della richiesta di rinvio a giudizio per violenza sessuale nei confronti del presidente della municipalizzata. Pace è stato infatti indagato dai pm della procura di Roma dopo una denuncia presentata da una dipendente dell’azienda che a Roma si occupa della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti.

Manzi prende il comando

Il sindaco della Capitale, Roberto Gualtieri, ha indicato nelle scorse ore il nome di Manzi, attuale Capo di Gabinetto della Città Metropolitana di Roma Capitale. Assumerà il ruolo di consigliere di Amministrazione di Ama spa e in seguito riceverà l’incarico di presidente dell’azienda. Secondo quanto si apprende, Pace resterebbe però nel cda di Ama. Manzi, invece, potrebbe già insediarsi come presidente nelle prossime ore. Il cambio al vertice avrebbe lo scopo di garantire stabilità all’azienda e serenità all’ex presidente nell’affrontare il percorso giudiziario.

Accuse di violenza sessuale contro Daniele Pace

La dipendente Ama ha raccontato di essere stata molestata sessualmente la scorsa estate all’interno degli uffici dell’azienda. A ottobre la donna ha presentato una denuncia a piazzale Clodio e lo scorso marzo Pace è stato ascoltato dagli inquirenti. Il diretto interessato ha sempre negato ogni accusa e anzi ha presentato una querela nei confronti della dirigente che lo ha accusato. La nomina di un nuovo presidente è stata chiesta a gran voce al sindaco dalle opposizioni, ma anche dalla maggioranza e dai sindacati.

Reazioni delle istituzioni pubbliche

Secondo Natale Di Cola, Segretario Generale della Cgil di Roma e Lazio e Giancarlo Cenciarelli, Segretario Generale della Fp Cgil di Roma e Lazio, “quanto leggiamo in queste ore sulla stampa in merito alla richiesta di rinvio a giudizio del Presidente di Ama rappresenta un fatto gravissimo sia per i reati contestati, che per la fattispecie. Ci aspettiamo che il Campidoglio intervenga affinché l’azienda possa lavorare in tranquillità e prepararsi al meglio per il Giubileo del 2025 e tuteli la lavoratrice consentendole di tornare a svolgere le proprie mansioni in serenità”.

Così invece la presidente della Commissione Pari Opportunità del Campidoglio, Michela Cicculli: “Come istituzioni pubbliche vogliamo chiarezza su questa vicenda e ci impegneremo affinché la verità dei fatti sia stabilita al più presto, nel rispetto dei diritti e della dignità di chi ogni giorno ha la forza di denunciare abusi e violenza”.

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.

L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.

Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?

A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.

I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.

Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?

È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.

Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica

Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.

Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.

La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.

La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.

Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.

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