Cronaca
Signorelli, portavoce del ministro Lollobrigida, si autosospende dall’incarico

Autosospensione di Paolo Signorelli
Frasi antisemite, ‘onore’ agli estremisti neri, insulti ai giornalisti e soddisfazione per l’assoluzione di Elvis Demce, uno dei boss della malavita romana: il portavoce del ministro Francesco Lollobrigida, Paolo Signorelli, si è autosospeso dall’incarico.
Comunicato Ufficiale
Il ministro Lollobrigida e il suo portavoce, Signorelli
Paolo Signorelli, il portavoce del ministro Lollobrigida, si è autosospeso. Lo ha annunciato in una nota lui stesso dopo che ieri mattina sono trapelate alcune chat del 2019 con Fabrizio Piscitelli, boss del narcotraffico romano e capo ultras degli Irriducibili assassinato il 7 agosto 2019.
Dichiarazioni di Signorelli
“Con riferimento a quanto pubblicato su alcuni organi di stampa, tengo a precisare di non ricordare la conversazione in oggetto, che sarebbe avvenuta molti anni fa, e che oggi mi ha colto del tutto di sorpresa – ha dichiarato Signorelli. – Ritengo altresì doveroso sottolineare quanto mai distanti da me, dal mio pensiero e dal mio sentire, siano i gravi contenuti di quella conversazione. In attesa di chiarire la vicenda, ho comunicato la mia autosospensione, con effetto immediato, dall’incarico di capo ufficio stampa del ministro Lollobrigida“.
Posizione del Ministro
“Paolo Signorelli mi ha comunicato la sua volontà di rimettere l’incarico di capo ufficio stampa con effetto immediato in attesa di chiarire le affermazioni riportate dal quotidiano *La Repubblica* e delle quali ovviamente non ero a conoscenza – ha dichiarato il ministro dell’Agricoltura. – Per come ho conosciuto Paolo Signorelli in questi due anni, sono certo sia distante anni luce da quanto riportato nella conversazione e confido possa smentirla al più presto”.
Le Chat Incriminate
Il portavoce del ministro è nipote di Paolo Signorelli – di cui porta anche il nome – ideologo nero e tra i massimi esponenti di Ordine Nuovo. Conosceva Fabrizio Piscitelli per una passione comune, quella della Lazio: all’epoca Signorelli aveva lavorato come speaker in una radio sportiva romana, mentre Piscitelli era il capo ultrà degli Irriducibili. Li legava un’amicizia e, a quanto pare, anche idee politiche che affondano le loro radici nell’estremismo di destra.
Contenuti delle Conversazioni
“Mica è colpa nostra se i romanisti sono ebrei“, diceva Diabolik in un vocale. “Tutti ebrei”, rispondeva Signorelli. “Mortacci loro e degli ebrei”. Inoltre, Signorelli ha reso omaggio a figure come Valerio Fioravanti, Pierluigi Concutelli, Luigi Ciavardini e Mario Tuti – tutti terroristi di estrema destra – dicendo: “Onore a nonno, Tuti, Concutelli, Giusva, Ciavardini, ecc“. Non solo: Signorelli si è anche felicitato per l’assoluzione di Elvis Demce, braccio destro di Piscitelli e uno dei narcotrafficanti più in vista della mala romana, recentemente condannato a 18 anni di carcere. Fonte
Attualità
Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.
L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.
Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?
A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.
I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.
Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.
Ultime Notizie Roma
Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?
È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.
Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica
Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.
Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.
La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.
La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.
Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.
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