Cronaca
ROMA Controlli antidroga alla Stazione Tiburtina: presi 5 corrieri

ROMA Controlli antidroga alla Stazione Tiburtina: presi 5 corrieri. Sequestrato inoltre stupefacente e denaro.
ROMA Controlli antidroga alla Stazione Tiburtina. L’attività, durata oltre 48 ore, ha visto i Carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia Roma Parioli passare al setaccio tutta l’area dello scalo. Finiti in manette ben 5 corrieri della droga e sequestrati ben 35 chili di marijuana.
Primo tra gli arrestati un cittadino nigeriano di 25 anni, irregolare sul territorio Nazionale. Il ragazzo è stato “pizzicato” nei pressi della stazione con poco più di un chilo di droga, avvolta in un involucro di cellophane, nascosta in uno zainetto che portava con sè. Qualche ora più tardi, nella rete dei carabinieri è finito poi un cittadino romeno di 24 anni, residente a Roma e con precedenti penali. Stava viaggiando a bordo della propria auto quando è stato fermato per un controllo alla circolazione stradale. Sottoposto a perquisizione personale e veicolare, è stato trovato in possesso di un involucro di cellophane con poco più di un chilo di marijuana e circa 100 euro in contanti. Il tutto, nascosto nel portabagagli, è stato immediatamente sequestrato
Sempre nei pressi della stazione Tiburtina è stato fermato un cittadino nigeriano di 19 anni. Residente a Roma, regolare sul territorio Nazionale, con precedenti, è stato notato allontanarsi velocemente con fare sospetto. Una volta raggiunto, è stato immediatamente identificato. Nel suo zaino inoltre i militari hanno rinvenuto oltre un chilo di marijuana avvolta nel cellophane, che è stata sequestrata.
Altri due cittadini nigeriani sono stati infine arrestati nella tarda serata di ieri. 34 e 35 anni, senza fissa dimora, disoccupati e con precedenti, sono stati fermati per un controllo stradale. La vettura è stata perquisita e all’interno i militari hanno rinvenuto e sequestrato ben 31,5 chili di marijuana, suddivisi in 15 involucri. Celati all’interno del portabagagli, con essi si trovava anche la somma contante di 1650 euro.
Tutti gli arrestati sono accusati di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. I primi 3 sono stati trattenuti nelle celle di sicurezza in attesa del rito direttissimo. Per gli ultimi due invece è stato disposto il trasferimento nel carcere di Regina Coeli, a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.
Attualità
Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.
L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.
Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?
A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.
I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.
Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.
Ultime Notizie Roma
Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?
È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.
Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica
Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.
Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.
La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.
La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.
Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.
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