Attualità
Soccorso dopo svenimento sulla Roma-Lido: cerca persone per ringraziarle

Cristina Vastola, ventiquattro anni, ha voluto esprimere la sua gratitudine a chi l’ha aiutata durante un malore. “Desidero ringraziare ognuno di voi: chi mi ha stretto la mano, chi mi ha restituito il telefono, chi mi ha coperto, chi mi ha sorretto le gambe, chi ha chiamato l’ambulanza, tutti quelli che non mi hanno lasciato sola fino all’arrivo dei soccorsi”, ha condiviso. Cristina ha lanciato un appello per chiedere a coloro che l’hanno assistita di farsi riconoscere. Il suo desidero è esprimere la sua gratitudine a tutti coloro, tra passeggeri e personale della stazione, che le sono rimasti accanto, anche a discapito dei loro impegni personali.
La mattina del 1 febbraio, intorno alle 8.30, mentre aspettava il treno della Roma-Lido a Casal Bernocchi, diretta ad un corso, Cristina ha iniziato a sentirsi male. “Mi sentivo strana, sudavo, non sapevo se continuare il viaggio o scendere – ha detto Cristina. Ho iniziato poi a ‘vedere nero’ e una gentile signora mi ha stretto la mano, prima che perdessi i sensi. Praticamente svenuta, mi sono accasciata contro gli altri passeggeri. Un ragazzo che poi ho scoperto essere un capotreno mi ha presa e mi ha messa su una panchina. Qualcuno si è tolto la giacca per coprirmi in attesa dell’arrivo dei soccorsi, visto che faceva molto freddo”.
Più tardi, Cristina è stata soccorsa dai paramedici che l’hanno trasportata all’ospedale Sant’Eugenio. Dopo gli esami del caso, i medici le hanno diagnosticato una sincope vagale. Ora, la giovane donna vuole ringraziare pubblicamente chi si è preso cura di lei. “Non conosco i vostri nomi, ma vorrei ringraziarvi tutti: chi mi ha stretto la mano, chi ha raccolto il mio telefono caduto, chi mi ha coperto con il suo cappotto, chi mi ha sorretto le gambe, chi ha chiamato l’ambulanza. È meraviglioso vedere che esiste ancora altruismo e gentilezza. Questi episodi vanno raccontati”.
Rispondendo al suo appello, una passeggera di nome Manu le ha scritto: “Ti ho pensata tutto il giorno. Sono quella che ti teneva la mano e ti diceva di respirare. Come stai?”. Cristina ha risposto: “Nella confusione di quel momento, ricordo perfettamente le tue parole. Ti ringrazio di cuore. Non mi sono sentita sola, ora sto bene”.
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Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

Di fronte all’annuncio del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara di estendere il divieto dell’uso dei cellulari anche agli studenti delle scuole superiori a partire dal prossimo anno scolastico, l’opinione pubblica si spacca: da un lato c’è chi accoglie con favore la misura, considerandola una necessaria inversione di rotta per ridare centralità alla didattica, dall’altro lato, non mancano le critiche: è davvero questo il modo giusto per affrontare il problema?
Valditara parla di un “intervento improcrastinabile”, giustificato dagli “effetti negativi ampiamente dimostrati dalla ricerca scientifica”. In effetti, numerosi studi hanno messo in luce il legame tra l’uso eccessivo degli smartphone e cali di attenzione, peggioramento del rendimento scolastico, aumento dell’ansia e disturbi del sonno.
Tuttavia, vietare l’utilizzo degli smartphone in classe può sembrare un approccio troppo rigido, quasi punitivo. Non tutti gli studenti usano il cellulare per distrarsi: alcuni lo sfruttano come strumento di studio, per cercare informazioni, tradurre testi, accedere a materiali didattici. Bandirlo in modo assoluto rischia di mandare un messaggio sbagliato: lo smartphone è un nemico, e non un mezzo da imparare a gestire.
Forse è proprio qui il nodo centrale della questione: educare, piuttosto che proibire. In un mondo in cui la tecnologia penetra ogni aspetto della vita quotidiana e lavorativa, non sarebbe più utile insegnare ai ragazzi un uso consapevole e responsabile degli strumenti digitali? Imparare a staccarsi dallo schermo, a concentrarsi, a distinguere tra tempo utile e tempo perso, è una competenza fondamentale tanto quanto la grammatica o la matematica.
Inoltre, c’è da chiedersi quanto il divieto sarà davvero applicabile e quanto sarà efficace. Chi controllerà? Con quali sanzioni? Non si rischia di creare solo tensione tra docenti e studenti, senza risolvere il problema alla radice?
Il provvedimento annunciato dal ministro Valditara ha il merito di rimettere al centro il valore del tempo scolastico e l’urgenza di affrontare la questione del digitale tra i giovani. Tuttavia, un vero cambiamento culturale richiede più di un semplice divieto: serve un’educazione digitale integrata, una collaborazione tra scuola e famiglia, e una riflessione collettiva su che tipo di cittadini vogliamo formare.
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