Attualità
FIFA ufficializza gli stadi per i Mondiali 2026: si partirà dall’Azteca in Messico

Il conto alla rovescia per i Mondiali 2026 è già iniziato e sono stati svelati i luoghi dove si svolgeranno le partite. La FIFA ha presentato ufficialmente gli stadi per le partite che si terranno tra gli Stati Uniti, il Messico e il Canada, dal 11 giugno al 19 luglio 2026.
Il palcoscenico iniziale sarà un simbolo del calcio mondiale, l’Azteca Stadium. La prima Coppa del Mondo con 48 squadre avrà inizio in Messico, nel famoso stadio che ha ospitato la leggendaria Partita del Secolo tra l’Italia e la Germania Ovest nel 1970, vinta dall’Italia per 4-3. Questa sarà la terza volta che l’Azteca ospiterà la partita inaugurale, un vero e proprio record.
La maggior parte delle partite si svolgerà in Texas, in particolare all’AT&T Stadium di Arlington, la casa dei Dallas Cowboys. L’impianto, che può contenere fino a 80.000 spettatori (e potrebbe essere ampliato per accogliere oltre 100.000 tifosi), ospiterà nove partite in totale, più di qualsiasi altro stadio.
Per quanto riguarda la finale dei Mondiali 2026, la partita più attesa si disputerà al Metlife Stadium di New York, nel New Jersey, il 19 luglio 2026. La finale per il terzo e quarto posto, che assegna la medaglia di bronzo, si svolgerà invece all’Hard Rock Stadium di Miami.
Una delle principali preoccupazioni per i Mondiali 2026 è il fatto di dover coprire enormi distanze fra i vari stadi situati in tre Paesi differenti. Per risolvere questo problema, la FIFA ha deciso di organizzare le partite raggruppandole geograficamente. Le città sono state divise in tre regioni: occidentale (Vancouver, Seattle, San Francisco, Los Angeles), centrale (Guadalajara, Città del Messico, Monterrey, Houston, Dallas, Kansas City) e orientale (Atlanta, Miami, Toronto, Boston, Philadelphia, New York/New Jersey).
Infine, per quanto riguarda gli orari delle partite. I Mondiali 2026 non saranno una maratona per i tifosi italiani che sperano di seguire la Nazionale. Le partite saranno programmate in modo da consentire a tutti di poterle seguire facilmente e, in particolare, la finale potrebbe essere giocata nel primo pomeriggio di New York.
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Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

Di fronte all’annuncio del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara di estendere il divieto dell’uso dei cellulari anche agli studenti delle scuole superiori a partire dal prossimo anno scolastico, l’opinione pubblica si spacca: da un lato c’è chi accoglie con favore la misura, considerandola una necessaria inversione di rotta per ridare centralità alla didattica, dall’altro lato, non mancano le critiche: è davvero questo il modo giusto per affrontare il problema?
Valditara parla di un “intervento improcrastinabile”, giustificato dagli “effetti negativi ampiamente dimostrati dalla ricerca scientifica”. In effetti, numerosi studi hanno messo in luce il legame tra l’uso eccessivo degli smartphone e cali di attenzione, peggioramento del rendimento scolastico, aumento dell’ansia e disturbi del sonno.
Tuttavia, vietare l’utilizzo degli smartphone in classe può sembrare un approccio troppo rigido, quasi punitivo. Non tutti gli studenti usano il cellulare per distrarsi: alcuni lo sfruttano come strumento di studio, per cercare informazioni, tradurre testi, accedere a materiali didattici. Bandirlo in modo assoluto rischia di mandare un messaggio sbagliato: lo smartphone è un nemico, e non un mezzo da imparare a gestire.
Forse è proprio qui il nodo centrale della questione: educare, piuttosto che proibire. In un mondo in cui la tecnologia penetra ogni aspetto della vita quotidiana e lavorativa, non sarebbe più utile insegnare ai ragazzi un uso consapevole e responsabile degli strumenti digitali? Imparare a staccarsi dallo schermo, a concentrarsi, a distinguere tra tempo utile e tempo perso, è una competenza fondamentale tanto quanto la grammatica o la matematica.
Inoltre, c’è da chiedersi quanto il divieto sarà davvero applicabile e quanto sarà efficace. Chi controllerà? Con quali sanzioni? Non si rischia di creare solo tensione tra docenti e studenti, senza risolvere il problema alla radice?
Il provvedimento annunciato dal ministro Valditara ha il merito di rimettere al centro il valore del tempo scolastico e l’urgenza di affrontare la questione del digitale tra i giovani. Tuttavia, un vero cambiamento culturale richiede più di un semplice divieto: serve un’educazione digitale integrata, una collaborazione tra scuola e famiglia, e una riflessione collettiva su che tipo di cittadini vogliamo formare.
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