Attualità
Corruzione: dirigente soddisfa richieste illecite con mozzarelle, olio e vino, intercettazioni confermano

Sospeso dirigente Regione Lazio per corruzione
Un dirigente della Regione Lazio è stato sospeso con l’accusa di corruzione. Nell’ambito delle indagini, sono coinvolti un totale di 10 persone tra imprenditori e funzionari.
Indagine sul dirigente regionale per corruzione
Il dirigente della Regione Lazio è stato accusato di corruzione per aver favorito diversi imprenditori agricoli e funzionari in cambio di mozzarelle, olio, carburante e posti di lavoro per i figli, al fine di risolvere problemi burocratici.Contestati sei episodi di corruzione
Sono stati contestati sei episodi di corruzione, legati all’ottenimento di fondi europei e alla rapida erogazione di pratiche per aziende agricole nel corso della pandemia da Covid-19. Complessivamente, sono state denunciate dieci persone per reati di corruzione tra dirigenti regionali e imprenditori.
Mozzarelle, olio, vino e assunzioni in cambio di favori
Il dirigente della Regione Lazio avrebbe agevolato imprenditori in cambio di favori quali forniture di mozzarelle, olio, vino, carburante e anche l’assunzione dei figli. Alcuni casi specifici includono il ricevimento di forniture di mozzarella, vino, buoni carburante e altre agevolazioni in cambio di informazioni e favori.
Interrogatori e pressioni su pratiche burocratiche
Le intercettazioni riportano conversazioni tra il dirigente e gli imprenditori dove si discute di favori ricevuti in cambio di forniture e assistenza. Inoltre, si parla delle pressioni degli imprenditori sui dipendenti dell’ufficio per ottenere assistenza prioritaria.
Sospensione del dirigente e motivazioni del gip
Il gip di Cassino ha deciso di sospendere il dirigente per un anno dalle sue funzioni per corruzione e lo ha escluso dagli uffici pubblici. Le motivazioni sottolineano il comportamento sistematico del dirigente nell’accettare favori e favorire gli imprenditori in modo illegale.Fonte
Attualità
Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

Di fronte all’annuncio del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara di estendere il divieto dell’uso dei cellulari anche agli studenti delle scuole superiori a partire dal prossimo anno scolastico, l’opinione pubblica si spacca: da un lato c’è chi accoglie con favore la misura, considerandola una necessaria inversione di rotta per ridare centralità alla didattica, dall’altro lato, non mancano le critiche: è davvero questo il modo giusto per affrontare il problema?
Valditara parla di un “intervento improcrastinabile”, giustificato dagli “effetti negativi ampiamente dimostrati dalla ricerca scientifica”. In effetti, numerosi studi hanno messo in luce il legame tra l’uso eccessivo degli smartphone e cali di attenzione, peggioramento del rendimento scolastico, aumento dell’ansia e disturbi del sonno.
Tuttavia, vietare l’utilizzo degli smartphone in classe può sembrare un approccio troppo rigido, quasi punitivo. Non tutti gli studenti usano il cellulare per distrarsi: alcuni lo sfruttano come strumento di studio, per cercare informazioni, tradurre testi, accedere a materiali didattici. Bandirlo in modo assoluto rischia di mandare un messaggio sbagliato: lo smartphone è un nemico, e non un mezzo da imparare a gestire.
Forse è proprio qui il nodo centrale della questione: educare, piuttosto che proibire. In un mondo in cui la tecnologia penetra ogni aspetto della vita quotidiana e lavorativa, non sarebbe più utile insegnare ai ragazzi un uso consapevole e responsabile degli strumenti digitali? Imparare a staccarsi dallo schermo, a concentrarsi, a distinguere tra tempo utile e tempo perso, è una competenza fondamentale tanto quanto la grammatica o la matematica.
Inoltre, c’è da chiedersi quanto il divieto sarà davvero applicabile e quanto sarà efficace. Chi controllerà? Con quali sanzioni? Non si rischia di creare solo tensione tra docenti e studenti, senza risolvere il problema alla radice?
Il provvedimento annunciato dal ministro Valditara ha il merito di rimettere al centro il valore del tempo scolastico e l’urgenza di affrontare la questione del digitale tra i giovani. Tuttavia, un vero cambiamento culturale richiede più di un semplice divieto: serve un’educazione digitale integrata, una collaborazione tra scuola e famiglia, e una riflessione collettiva su che tipo di cittadini vogliamo formare.
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