Attualità
Dipendente di Roma Capitale, 51 anni, trovato morto negli uffici del dipartimento Mobilità

Tragedia negli uffici del Dipartimento Mobilità e Trasporti di Roma
Una tragica scoperta ha scosso gli uffici del dipartimento Mobilità e Trasporti di via Bavastro a Roma, dove nella scorsa notte un dipendente capitolino di 51 anni è stato trovato morto. La Polizia di Stato sta indagando sull’evento, e sulla salma verrà effettuata un’autopsia per determinare le cause del decesso.
La Sequenza degli Eventi
L’Allarme della Moglie
Un dipendente capitolino di cinquantuno anni è stato trovato morto negli uffici del dipartimento Mobilità e Trasporti di Roma Capitale. La tragedia è avvenuta nell’edificio di via Capitan Bavastro 94, in zona Garbatella, nella notte del 25 maggio scorso. A dare l’allarme è stata sua moglie, preoccupata per non vederlo tornare a casa e non riuscendo a mettersi in contatto con lui. Ha chiamato il Numero Unico delle Emergenze 112.
L’Intervento della Polizia di Stato
Gli agenti della Polizia di Stato hanno risposto alla chiamata della moglie e hanno ricostruito insieme a lei gli ultimi spostamenti noti del marito. Lo hanno cercato sul posto di lavoro, negli uffici del dipartimento Mobilità, trovandolo purtroppo morto.
Indagine e Autopsia
Nessun Segno di Violenza
Nonostante non ci fosse nulla da fare per salvare l’uomo, sul cadavere non sono stati trovati segni di violenza, ma al momento non si esclude alcuna ipotesi. La Polizia di Stato sta indagando e la salma, una volta terminati gli accertamenti sul posto, è stata trasferita in obitorio. Qui si trova a disposizione dell’Autorità Giudiziaria per l’autopsia. I risultati delle analisi autoptiche saranno utili per chiarire le cause della morte.
Il Cordoglio del Sindaco Gualtieri
Dichiarazione Ufficiale
Sul drammatico evento è intervenuto il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, che ha espresso vicinanza e cordoglio alla famiglia del dipendente capitolino. "Esprimo il mio più sentito cordoglio, insieme a quello di tutta l’amministrazione, alla famiglia del dipendente capitolino trovato senza vita la notte scorsa negli uffici del dipartimento Mobilità – si legge in una nota – una notizia tristissima che ci ha profondamente colpito," ha dichiarato il sindaco.
Attualità
Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.
L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.
Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?
A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.
I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.
Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.
Ultime Notizie Roma
Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?
È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.
Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica
Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.
Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.
La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.
La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.
Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.
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