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Chi è Daniele Virgili, il vigile di 25 anni investito a Roma dal carabiniere ubriaco

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Chi è Daniele Virgili, il vigile di 25 anni investito a Roma dal carabiniere ubriaco

Daniele Virgili prima di diventare vigile ha lavorato come chef in diversi ristoranti e studiato per diventare istruttore di scuola guida. Da due mesi era in strada con il IV Gruppo Tiburtino. Il suo sogno è quello di aiutare gli altri con il proprio lavoro.

Daniele Virgili

Daniele Virgili è un ragazzo di 25 anni che mentre era in servizio è stato travolto insieme a due colleghe da un carabiniere che guidava ubriaco. L’incidente stradale è avvenuto nella serata di mercoledì scorso 6 novembre lungo via Tiburtina all’altezza dello svincolo per il Grande Raccordo Anulare intorno alle ore 20.30. Daniele Virgili prima di vincere il concorso e diventare vigile urbano faceva lo chef e lavorava in strada da circa due mesi. Daniele Virgili non è ancora fuori pericolo, oggi l’ospedale San Camillo ha diffuso un bollettino medico con gli aggiornamenti sul suo stato di salute: è stata sospesa la sedazione e la ventilazione meccanica, ma la prognosi resta riservata.

Chi è Daniele Virgili, il vigile travolto in via Tiburtina

Daniele Virgili prima di entrare a far parte del corpo della polizia locale di Roma Capitale ha fatto altri lavori. Ha lavorato come chef in diversi ristoranti, avendo frequentato ed essendosi diplomato all’Istituto superiore alberghiero. Poi ha studiato per diventare istruttore di scuola guida. Aveva da poco coronato il sogno di entrare a far parte della polizia locale, dove lavorava nel IV Gruppo Tiburtino, dopo aver vinto il concorso con buoni voti. Il suo sogno è quello di aiutare gli altri con il…

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Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

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Il divieto degli smartphone a scuola: una scelta coraggiosa?

Di fronte all’annuncio del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara di estendere il divieto dell’uso dei cellulari anche agli studenti delle scuole superiori a partire dal prossimo anno scolastico, l’opinione pubblica si spacca: da un lato c’è chi accoglie con favore la misura, considerandola una necessaria inversione di rotta per ridare centralità alla didattica, dall’altro lato, non mancano le critiche: è davvero questo il modo giusto per affrontare il problema?

Valditara parla di un “intervento improcrastinabile”, giustificato dagli “effetti negativi ampiamente dimostrati dalla ricerca scientifica”. In effetti, numerosi studi hanno messo in luce il legame tra l’uso eccessivo degli smartphone e cali di attenzione, peggioramento del rendimento scolastico, aumento dell’ansia e disturbi del sonno.

Tuttavia, vietare l’utilizzo degli smartphone in classe può sembrare un approccio troppo rigido, quasi punitivo. Non tutti gli studenti usano il cellulare per distrarsi: alcuni lo sfruttano come strumento di studio, per cercare informazioni, tradurre testi, accedere a materiali didattici. Bandirlo in modo assoluto rischia di mandare un messaggio sbagliato: lo smartphone è un nemico, e non un mezzo da imparare a gestire.

Forse è proprio qui il nodo centrale della questione: educare, piuttosto che proibire. In un mondo in cui la tecnologia penetra ogni aspetto della vita quotidiana e lavorativa, non sarebbe più utile insegnare ai ragazzi un uso consapevole e responsabile degli strumenti digitali? Imparare a staccarsi dallo schermo, a concentrarsi, a distinguere tra tempo utile e tempo perso, è una competenza fondamentale tanto quanto la grammatica o la matematica.

Inoltre, c’è da chiedersi quanto il divieto sarà davvero applicabile e quanto sarà efficace. Chi controllerà? Con quali sanzioni? Non si rischia di creare solo tensione tra docenti e studenti, senza risolvere il problema alla radice?

Il provvedimento annunciato dal ministro Valditara ha il merito di rimettere al centro il valore del tempo scolastico e l’urgenza di affrontare la questione del digitale tra i giovani. Tuttavia, un vero cambiamento culturale richiede più di un semplice divieto: serve un’educazione digitale integrata, una collaborazione tra scuola e famiglia, e una riflessione collettiva su che tipo di cittadini vogliamo formare.

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Transfobia dopo il Pride: un’aggressione che svela l’altra faccia di Roma

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Transfobia dopo il Pride: un’aggressione che svela l’altra faccia di Roma

Mentre le strade di Roma risuonavano ancora di musica, canti e slogan del Pride, un episodio vergognoso ha ricordato a tutti quanto sia ancora lunga la strada verso una reale inclusione: sabato 14 giugno, intorno alle 19:40, subito dopo la fine del Roma Pride, che ha visto la partecipazione di oltre 200.000 persone, una donna trans è stata aggredita nei pressi della stazione Laurentina della linea B della metropolitana.

Secondo quanto denunciato da Gay Help Line, la vittima è stata bersagliata da insulti transfobici e poi inseguita da un uomo. Le frasi urlate “Frocio!”, “Si vede che sei un uomo!” sono lo specchio di un odio che continua a diffondersi nella nostra società, anche quando i riflettori delle grandi manifestazioni si spengono. Fortunatamente, alcuni passanti sono intervenuti, permettendo alla donna di mettersi in salvo su un autobus.

Il servizio di supporto Gay Help Line, che ha ricevuto la segnalazione attraverso il numero verde 800 713 713, lancia ora un appello a chiunque fosse presente in quel momento alla fermata: servono testimonianze, immagini, qualunque elemento possa aiutare a identificare l’aggressore.

In una città che poche ore prima celebrava l’amore, la libertà e la diversità, è inaccettabile che un’aggressione del genere possa accadere in pieno giorno, in un luogo pubblico, tra l’indifferenza di molti.

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