Attualità
Olio d’oliva italiano in guai: prezzi truccati, indagine svela deficit da 25 miliardi

HaiMaiPensatoAlScandaloDellOlioDItalia? Scopri come il prezzo del tuo olio d’oliva preferito potrebbe essere manipolato, lasciando produttori in ginocchio nonostante i dati che urlano allarme!
Il settore oleario italiano, che doveva essere il salvatore dell’economia agricola, sta affrontando una crisi che nessuno si aspettava. Giancarlo Bianchi, segretario generale di Coldiretti, ha tuonato: “Siamo qui perché i dati sono inequivocabili e allarmanti: c’è uno scarto ingiustificato di oltre due euro al chilo tra il prezzo reale all’origine dell’olio d’oliva (3,5 euro al chilo) e il valore che dovrebbe avere (5,55 euro al chilo)”. Queste parole, pronunciate durante un’esposto all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, rivelano un potenziale caso di manipolazione che sta accendendo i riflettori su un mercato apparentemente “semplice”, ma pieno di anomalie.
Manipolazione del mercato?
Da mesi, gli olivicoltori italiani segnalano prezzi all’origine che non quadrano, con variazioni che vanno oltre le fluttuazioni normali. Il prezzo dell’olio d’oliva dipende principalmente dalle scorte disponibili, eppure ora è drammaticamente più basso di quanto ci si aspetterebbe. Cosa sta succedendo dietro le quinte? Questa discrepanza potrebbe nascondere pratiche che alterano il mercato, lasciando i produttori a contare le perdite.Un’indagine approfondita
Preoccupati da questa situazione, il Consorzio Olivicolo Italiano ha ordinato uno studio approfondito a ricercatori delle Università di Perugia, Bari e del Centro di Ricerca per l’Olivicoltura. Le loro conclusioni? Lo squilibrio è reale e più grave del previsto, con implicazioni che potrebbero sconvolgere l’intero settore. Ma è solo l’inizio di una storia che merita di essere indagata fino in fondo.
Siamo di fronte a un reato?
L’alterazione dei prezzi potrebbe essere illegale secondo le norme sulla concorrenza, e se provata, rappresenterebbe un reato serio. Per ora, ci sono indizi solidi – come stime di perdite fino a 2,5 miliardi – ma dimostrare accordi illeciti è una sfida. Le autorità devono intervenire per proteggere un settore vitale, che nonostante una crescita del 12% annuo, rischia la chiusura di oltre 300 frantoi nei prossimi anni, minacciando l’economia di territori già in difficoltà.
Attualità
Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.
L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.
Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?
A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.
I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.
Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.
Ultime Notizie Roma
Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?
È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.
Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica
Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.
Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.
La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.
La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.
Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.
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