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Cronaca

ROMA Farmacista insegue rapinatore e lo fa arrestare

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ROMA Farmacista insegue rapinatore e lo fa arrestare

ROMA Farmacista insegue rapinatore e lo fa arrestare: episodio da film in via del Corso.

ROMA Farmacista insegue rapinatore e lo fa arrestare. E’ accaduto nella centralissima via del Corso. Un colpo all’apparenza facile facile, ma che si è trasformato in un incubo per il ladro. Messo ko dalla prontezza e dal coraggio di una dipendente, nonostante un tentativo. La donna, sulla trentina, non si è arresa e gli ha dato la caccia fin quando, con l’aiuto della polizia, non è stato arrestato.

L’episodio da film si è verificato giovedì pomeriggio in una farmacia nei pressi di piazza del Popolo. Erano circa le sei e nel negozio c’erano decine di clienti anche stranieri. Ad un reparto nel reparo cosmetici è entrato un uomo, un romano di 40 anni, pregiudicato. Approfittando di un attimo di distrazione ha aperto un cassetto e preso l’incasso. Il malvivente non aveva fatto però i conti con la farmacista. Accortasi del ladro, l’ha infatti preso di spalle e l’ha placcato a terra.

«Ho visto che aveva aperto il cassetto con i soldi prendendoli. A quel punto mi ci sono buttata sopra» ha raccontato la dipendente alla polizia. Ne è nata una colluttazione, al termine della quale l’uomo con uno scatto è riuscito a liberarsi dalla presa ed è fuggito in strada. La farmacista però non si è arresa e ha rincorso il fuggitivo con tutte le sue forze, fortunatamente non senza aiuto. Durante la fuga più di un passante ha capito la situazione e l’ha aiutata.

«Prendetelo, prendetelo è un ladro!», ha gridato la farmacista mentre correva. Alla fine la donna, coadiuvata da 3-4 passanti, è riuscita ad ‘atterrare’ il bandito su un tratto di via della Fontanella, una traversa di via del Corso. Altri passanti hanno notato poi la presenza di un equipaggio della polizia, immediatamente avvertito di quello che stava accadendo. Raggiunto il capannello di persone che già stava linciando la persona bloccata, gli agenti hanno tratto in arresto l’uomo.

Sottoposto a perquisizione, è stato trovato in possesso dei 600 euro poco prima rubati alla farmacia. Vista la sua risposta fisica alla reazione della farmacista, l’accusa a suo carico è passata dal reato di furto a quello, più grave, di rapina. La persona arrestata è un sorvegliato speciale, sottoposto alla forma in commissariato perché giudicato pericoloso socialmente dal Questore. Mentre i poliziotti lo stavano facendo salire sulla volante, il rapinatore, rivolto alla farmacista, le ha detto: «Ti chiedo scusa per quello che ho fatto ma non ho un euro e quei soldi mi sarebbero serviti per mangiare». Una versione dei fatti la sua che pare discostare dai precedenti reati commessi dall’uomo e che quindi viene presa con le molle dagli investigatori.

La polizia ha acquisito il video delle telecamere interne, nel quale si vede la prima fase del colpo. Che mette ancora più in evidenza il problema della sicurezza delle farmacie romane: almeno due i colpi al giorno registrati in vari negozi in molti quartieri romani. Individui che, armati di pistola o di coltello, incutono terrore in titolari e dipendenti e finiscono per prendere i soldi senza correre rischi. Nella loro mentalità si comportano come se le casse delle farmacie fossero dei bancomat.

INTANTO RITROVATO CORPO CARBONIZZATO ALLA GARBATELLA

Attualità

Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.

L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.

Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?

A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.

I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.

Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?

È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.

Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica

Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.

Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.

La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.

La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.

Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.

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