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Cronaca

PISONIANO Dodicenne pestato dai bulli a scuola

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PISONIANO Dodicenne pestato dai bulli a scuola

PISONIANO Dodicenne pestato dai bulli a scuola.

PISONIANO Dodicenne pestato dai bulli a scuola. L’episodio si è verificato giovedì scorso in un istituto Secondario di I grado. Protagonista un ragazzino originario di Gerano, massacrato di botte da un gruppo di compagni. Un fatto che ha suscitato l’indignazione del sindaco proprio del Comune della provincia di Roma: il primo cittadino si è infatti unito ai colleghi della valle del Giovenzano in una nota contro il bullismo.

“In attesa degli esiti degli accertamenti sull’accaduto – si legge – esprimiamo la nostra vicinanza al ragazzo vittima della violenza e alla sua famiglia. Ci auguriamo che si rimetta presto e che, con l’aiuto della comunità che gravita attorno alla scuola, possa tornare a vivere con fiducia e serenità il rapporto con il prossimo. L’opinione pubblica è rimasta molto impressionata dall’accaduto e preoccupata, soprattutto per quello che riguarda i controlli e la sicurezza. Un aspetto però che non può essere il solo a guidare le future iniziative, in quanto non risolverebbe il problema ma lo sposterebbe soltanto”. ”

Si rischierebbe infatti – prosegue – di prendere decisioni non risolutive ma solo più facili, in quanto demagogicamente spendibili. Non si può deresponsabilizzare la comunità scaricando oneri e colpe solo sugli operatori scolastici. Occorre invece un progetto educativo che coinvolga tutti gli adulti del nostro territorio, allo scopo di far assumere apertamente ai minori le loro responsabilità senza difenderli sempre e a ogni costo. Amare non significa ‘lavare i propri panni in casa’, ma educare all’autonomia, imparando ad assumersi le proprie responsabilità anche di fronte alla società”.

“Non vogliamo – conclude – linciare i colpevoli, ma pretendiamo che gli adulti svolgano il loro dovere sociale di educatori in questo senso. Solo così si potranno gettare le basi per un effettivo cambiamento di comportamenti. Tutti devono inoltre trasmettere ai nostri ragazzi la fiducia nella possibilità di autodeterminarsi come individui e non come membri omologati di un gruppo. E’ diffusa infatti la sfiducia verso l’unicità individuale, nel timore che i propri figli restino isolati. Li si spinge quindi all’omologazione, che troppo spesso degenera in spirito di branco. Noi invece sosteniamo questo approccio educativo e rivolgiamo quest’invito a tutti, genitori, zii e nonni”.

Attualità

Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.

L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.

Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?

A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.

I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.

Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?

È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.

Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica

Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.

Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.

La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.

La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.

Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.

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