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Cronaca

Serial killer dei gatti di Via Lavinio: nuovi sviluppi della vicenda

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Serial killer dei gatti di Via Lavinio: nuovi sviluppi della vicenda

Nuovo capitolo della triste saga: dal controllo effettuato non risultano gatti in casa, ma un video indica una verità diversa

Roma, Via Lavinio, quartiere San Giovanni. E’ qui che vive N. A., una donna con problemi mentali tristemente nota alla gente del quartiere e alle forze dell’Ordine per essere una accumulatrice seriale e una serial killer di innocenti felini. Il suo caso è tornato prepotentemente alla ribalta nell’ultimo mese, dopo che la Sindaca Virginia Raggi ha firmato l’ordinanza che le vieta di tenere animali domestici in casa e che stabilisce controlli periodici nella sua abitazione. Ma andiamo con ordine.

La vicenda

La storia inizia più di 15 anni fa. A raccontarla nel modo più chiaro e completo è un post sulla pagina Facebook  “Coordinamento Gatti di Via Lavinio”, il gruppo di volontari che si batte da tantissimo tempo per risolvere quello che è ormai una situazione nota a tutti, ma che paradossalmente non riesce a trovare soluzione. Nel post di presentazione della pagina si legge infatti:

Il Coordinamento Gatti Via Lavinio nesce per iniziativa di un gruppo di privati cittadini e volontari animalisti che, da oltre 15 anni, seguono e cercano di risolvere l’annosa vicenda di una donna accumulatrice seriale di gatti ed oggetti. Moltissimi sono i gatti recuperati da quelle 4 mura, raccolti perché si gettavano dalle finestre o sequestrati da agenti di PG durante gli interventi messi in atto da aprile 2017. Ma altrettanti ne sono morti, di stenti ed incuria. Nonostante l’intervento determinante di Antonio Colonna esperto in zoocriminalità, che è riuscito ad ottenere vari mandati dalla Procura di Roma, delle guardie zoofile di Fare Ambiente e NOGEZ, la situazione è rimasta invariata. La donna non ha mai subito alcun trattamento sanitario obbligatorio e non è controllata da nessuno.  Può continuare indisturbata a riaccumulare rifiuti in casa (a giugno 2017, durante lo sgombero, uscirono da quell’appartamento 16 tonnellate di rifiuti e 4 gatti mummificati) e a prendere gatti (da sempre risponde instancabilmente ad annunci per adozioni di gatti). Vogliamo mettere la parola fine a questa vicenda? Vogliamo che questa donna venga curata dal Dipartimento di Salute Mentale (grande assente in questa vicenda) e messa in condizione di non nuocere più a se stessa, agli animali e a chi le vive intorno. In questa pagina pubblicheremo tutto ciò che ha riguardato e riguarda questa annosa ed assurda vicenda. Noi non ci fermeremo e coinvolgeremo gli organi preposti a più non posso. Non lasciateci soli, come in questi 15 anni!

La vicenda sembrava aver avuto un momento di svolta quando, la settimana scorsa, è intervenuta in merito Virginia Raggi in persona. Sollecitata infatti dalle persone coinvolte, che cercano disperatamente di porre fino a questa drammatica vicenda, la Sindaca Virginia ha voluto vederci chiaro, incontrando coloro che hanno lanciato l’allarme. “Questi cittadini sono molto preoccupati. Pare che una signora abbia adescato e rapito gli animali per poi lasciarli morire di fame e di sete nella sua abitazione. Una situazione che, a quanto pare, andrebbe avanti da anni. La Procura, infatti, in passato si è già occupata di lei: si tratterebbe di un’accumulatrice compulsiva, molto nota nel quartiere. Un paio d’anni fa, a seguito dell’intervento di Polizia Locale, Ama e ufficio igiene, da casa sua furono portate via sedici tonnellate di immondizia e   alcune carcasse di gatti. Una scena orribile. Dopo essermi confrontata con il Coordinamento Gatti Via Lavinio, ho contattato subito le forze dell’ordine e ho predisposto un’ordinanza che impedisce alla signora di tenere animali nel suo appartamento e dispone di trasferire i gatti in suo possesso in un luogo idoneo. Era necessario trovare una soluzione. Gli animali vanno sempre tutelati e difesi”, ha dichiarato la Raggi.

Il post ordinanza e l’intervento delle forze politiche

Sembrava un momento catartico, il giusto epilogo della vicenda. Ma, passata una settimana dall’ordinanza, ancora nessun rappresentante delle Forze dell’Ordine si era presentato a verificare la situazione nella casa della donna. L’urgenza era data specialmente dal fatto che nel mentre erano arrivate molte segnalazioni riguardanti la presenza di un gatto certosino a casa della donna. Tra le proteste si sono levate anche voci dalla politica, come l’intervento di Francesco Figliomeni, presidente dell’Assemblea capitolina e consigliere di Fratelli d’Italia che sulla vicenda della serial killer ha dichiarato in una nota: “Dopo le nostre richieste di intervento, è passata una settimana dalla firma del sindaco Raggi dell’ordinanza urgente sull’accumulatrice seriale di gatti che vive in zona San Giovanni. In tale provvedimento veniva predisposto il divieto di detenere animali domestici, la verifica della presenza degli stessi e in caso di presenza il loro allontanamento e messa in sicurezza in strutture specifiche, oltre lo sgombero dei rifiuti e la sanificazione dell’appartamento, ma ad oggi è ancora tutto fermo. Infatti, a quanto ci dicono i volontari che ringraziamo per il costante impegno, non è stato effettuato alcun accesso nell’immobile, pare per vizi di forma del provvedimento che se presenti avrebbero potuto già essere sanati. Dopo l’interrogazione a suo tempo presentata, oggi abbiamo anche predisposto una nota al Sindaco, anche quale capo dell’Amministrazione, all’Assessore e al Direttore all’Ambiente, per avere delucidazioni in merito alla mancata applicazione dell’ordinanza del Sindaco n.56, che si rende sempre più urgente sia per mettere in sicurezza gli animali detenuti nell’appartamento ma anche per dare un sostegno a questa persona con seri problemi di disagio mentale attraverso controlli periodici dei servizi sociali e della Polizia Locale“.

La svolta (apparente)

Stamattina, finalmente, la svolta. Apparente. Si, perché alle 9.30 i Vigili si sono presentati dalla donna per ispezionare l’appartamento, non trovando però nulla di compromettente. Probabilmente la donna, alla quale era stata notificata l’ordinanza il giorno dopo la sua emanazione, si è a quel punto messa velocemente in azione per “liberarsi” delle prove che potevano crearle problemi con la legge. Il coordinamento gatti via Lavinio ha pubblicato un post con una testimonianza video che avvalora questa ipotesi:

Questa mattina, dalle 9.30, è stato effettuato l’intervento di Polizia Municipale VII Gruppo, ASL Veterinaria e ASL Rm2 presso l’appartamento di Via Lavinio, in ottemperanza all’Ordinanza della sindaca Raggi. Non sono stati trovati gatti. Strano, visto che avevamo documentato, pochi giorni fa e con due foto, la presenza di un gatto all’interno della casa di N.A.. Di questo gatto abbiamo saputo, da nostre fonti certe, che in questi giorni la signora si è adoperata per trovare qualcuno a cui affidarlo. Non sappiamo se definitivamente o provvisoriamente. Ci chiediamo, poi….come mai, proprio ieri, la signora è stata vista da una dirimpettaia trascinare un grosso bustone di immondizia che, forato sul fondo, ha lasciato una lunga scia di lettiera per gatto dal portone di via Lavinio fino al cassonetto lontano in cui è stato gettato? Come mai, come documentato dal video che qui pubblichiamo, all’interno del bustone era presente una lettiera per gatti usata? La signora N.A. ha, guarda caso, deciso di fare le “grandi pulizie” proprio il giorno prima dell’intervento? Tirate voi le dovute conclusioni. L’ordinanza, se applicata nel modo giusto, potrebbe essere una arma importante per coinvolgere la parte medico psichiatrica competente, che resta la grande assente di questa lunga storia e che potrebbe avviare la stessa alla giusta conclusione. Invece, per l’ennesima volta, l’arma risulta spuntata. Noi, ovviamente, non ci fermiamo qui”.

Attualità

Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.

L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.

Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?

A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.

I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.

Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?

È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.

Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica

Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.

Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.

La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.

La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.

Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.

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