Attualità
Pizza Briatore, i pizzaioli ironizzano: “L’ha scoperta oggi, dopo 30 anni”
Pizza Briatore, prosegue la polemica dopo le parole dell’imprenditore sul costo del prodotto

Sul binomio pizza Briatore, molto in voga in questi giorni, è intervenuto quest’oggi Angelo Iezzi, presidente dell’Associazione Pizzerie Italiane (Api). Alla categoria non è infatti andato giù quanto affermato su Instagram dal proprietario di ‘Crazy Pizza’: “Il mio prezzo è caro perché uso prodotti di qualità e pago tasse e dipendenti. Chi la vende a 4-5 euro cosa ci mette sopra?“. Pronta la replica di Iezzi, ai microfoni della trasmissione di Rds condotta da Anna Pettinelli e Sergio Friscia: “La pizza è condivisione, un’icona popolare che grazie alla formazione e all’abilità dei pizzaioli italiani oggi porta il made in Italy nel mondo“.
PIZZA BRIATORE: “QUALITÀ E PREZZO GIUSTO SONO POSSIBILI”
Poi soffermandosi nello specifico sul prezzo: “In media il pubblico può pagare una Margherita, con variazioni da nord a sud, intorno ai 4-7 euro. Realizzarla con prodotti di qualità costa circa 3 euro: da 90 centesimi a 1,80 euro per la farina, tra 6 e 7,50 euro per la mozzarella, 1,50 euro per il pomodoro e circa 6 centesimi per olio e lievito. Si possono dunque usare ingredienti d’eccellenza mantenendo un prezzo giusto. In tal modo, l’impresa guadagna e i consumatori, spesso famiglie, gruppi e giovani non spendono eccessivamente“.
PIZZA BRIATORE: “NON VENGA AD INSEGNARCI IL MESTIERE”
Iezzi si meraviglia dunque dei 15 euro richiesti da Briatore: “Non capisco come sia possibile questo prezzo per una Margherita“. Per poi rispedire al mittente le sue accuse: “Con tutto il rispetto, Briatore non può venire a insegnarci come si prepara la pizza visto che l’ha scoperta oggi. Dal 1989, anno in cui l’Api è nata, le nostre scuole fanno formazione in Italia e nel mondo, fino a Dubai. Abbiamo centinaia di pizzerie associate in Italia, ognuna delle quali fa impresa, paga le tasse e crea occupazione. Dietro una pizza ci sono maestranze e aziende, una filiera che comprende logica e distribuzione“.
PIZZA BRIATORE: “DOVREBBE RICONOSCERE I NOSTRI MERITI”
“Dovrebbero dare una medaglia – contrattacca poi in chiosa – a tutti quegli imprenditori che, non hanno fatto pagare ai clienti gli aumenti di energia e materie prime. L’impresa non la fa solo chi chiede 15 euro per una Margherita e dispiace che ci sia chi ci demonizzi. Costui dovrebbe invece riconoscerci il merito di aver promosso la pizza come alimento popolare e sostenibile”.
Attualità
Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.
L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.
Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?
A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.
I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.
Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.
Ultime Notizie Roma
Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?
È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.
Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica
Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.
Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.
La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.
La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.
Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.
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