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Miss Grand Prix, una ragazza romana alle finali nazionali del 6 agosto

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Miss Grand Prix, una ragazza romana alle finali nazionali del 6 agosto

C’è anche una ragazza romana tra le 24 aspiranti reginette che sabato 6 agosto allo Stadio del Mare di Pescara andranno a caccia della prestigiosa fascia di “Miss Grand Prix” nella finalissima nazionale presentata da Jo Squillo.

Alla scoperta di Loredana Giallatini

Loredana Giallatini, è una studentessa di 17 anni e ha l’ambizione di diventare una modella. Lei sarà in Abruzzo già dal 4 agosto per partecipare alla serata di presentazione delle 24 finaliste in piazza del mare a Giulianova, in provincia di Teramo. L’evento sarà condotto dall’attore e influencer Luca Onestini., mentre il sabato sera ci sarà la finale vera e propria per contendersi la corona posata lo scorso anno sulla testa della bresciana Gabriella Bonizzardi che, come da tradizione, incoronerà a Pescara la nuova reginetta.

Miss Grand Prix

Miss Grand Prix, storia di un successo

Miss Grand Prix è stato un trampolino di lancio per tantissime protagoniste del mondo dello spettacolo, della tv e del cinema. Fra le tante ricordiamo Tessa Gelisio, Raffaella Fico e Carlotta Maggiorana. Il concorso di bellezza è organizzato da Claudio Marastoni, uno dei manager più conosciuti d’Italia, forte di una storia ormai più che trentennale e di una struttura organizzativa capace anche di battere il lockdown (ricordiamo infatti che Miss Grand Prix si è svolto anche nelle estate passate, nonostante le difficoltà legate alla pandemia. Per seguire l’avventura in finale di Loredana basterà collegarsi ai canali social – Facebook e Instagram – del concorso, Miss Grand Prix.

Valeria Marini voleva farsi suora. L’intervista al Corriere

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Attualità

Femminicidi e scuola: un appello all’educazione affettiva

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Femminicidi e scuola: un appello all’educazione affettiva

Di fronte all’ennesimo femminicidio, la reazione è spesso la stessa: sconcerto, rabbia, dolore. Poi, troppo spesso, il silenzio. Un silenzio che dura fino alla prossima tragedia, in un ciclo che sembra destinato a ripetersi. Ma la verità è che ogni femminicidio non inizia con un colpo, inizia molto prima, nei gesti piccoli ormai normalizzati e nei ruoli imposti.

La scuola è il primo spazio pubblico in cui i bambini imparano a vivere con gli altri: è il luogo dove si formano le idee, si costruiscono le identità, si assimilano i modelli sociali.. parlare di femminicidio a scuola non significa portare dentro le aule la cronaca nera, ma riconoscere che la violenza di genere è un fatto culturale, prima ancora che criminale.

Serve un’educazione affettiva che aiuti i ragazzi a interrogarsi su cosa significhi amare, rispettare, comunicare e gestire il conflitto. Serve un’educazione emotiva che insegni a nominare le emozioni, riconoscerle, non reprimerle né trasformarle in rabbia.

Eppure, in Italia, l’educazione sessuale e affettiva non è obbligatoria. Viene spesso ostacolata, ridotta a interventi occasionali, lasciata alla buona volontà di singoli docenti o associazioni; come se parlare d’amore, di rispetto, di corpo e consenso fosse un tabù più pericoloso della violenza che esplode quando quei temi vengono ignorati.

La scuola ha il dovere di preparare cittadini, non solo studenti. E in una società in cui le disuguaglianze e la violenza di genere sono ancora profondamente radicate, non si può più considerare opzionale l’educazione al rispetto e alla parità. Non basta conoscere Dante o la matematica, se poi non si è in grado di costruire relazioni sane, di accettare un no, di riconoscere la libertà dell’altro come inviolabile.

Il cambiamento culturale non sarà immediato., ma può cominciare in una classe, da una domanda, da una discussione, da un dubbio piantato nella mente di un ragazzo o una ragazza, può cominciare quando smettiamo di pensare che “certe cose” non si dicano ai giovani, e iniziamo invece a fidarci della loro intelligenza e sensibilità.

Se vogliamo davvero fermare i femminicidi, dobbiamo smettere di parlarne solo dopo e cominciare a parlarne prima. Dove si cresce, dove si impara a diventare adulti e dove si può ancora cambiare.

 

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Attualità

Svolta in Sicilia sull’aborto: un passo storico per i diritti delle donne

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Svolta in Sicilia sull’aborto: un passo storico per i diritti delle donne

Una regione che per anni è stata simbolo delle difficoltà più estreme nell’applicazione della Legge 194/1978, quella che garantisce il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, ha appena compiuto un passo importante: l’’approvazione dell’articolo 3 del disegno di legge regionale n.738 segna un cambio di rotta netto, profondo, storico. D’ ora in poi, tutte le aziende sanitarie siciliane dovranno garantire spazi dedicati all’IVG e, cosa ancora più significativa, i bandi pubblici per il personale sanitario potranno includere il vincolo di non essere obiettori di coscienza.

Sembra banale, ma non lo è. Secondo il Ministero della Salute, nel 2022 il 60,5% dei ginecologi italiani si dichiarava obiettore, mentre in alcune strutture meridionali si toccavano punte del 90%.

Il problema che pochi si pongono é che mentre il medico si rifiuta, il diritto resta sulla carta.

A chi serve una legge che non può essere applicata?

Questa norma non impone, non forza nessuno a cambiare idea, ma mette al centro una verità che troppo spesso viene dimenticata: la decisione ultima spetta alla donna, non allo Stato, non al medico, non alla morale pubblica. Alla donna.

Guardando da Roma questa svolta siciliana, viene spontaneo chiedersi: e noi?

La Capitale d’Italia, che dovrebbe essere faro di diritti e di accesso alla sanità pubblica, presenta ancora oggi un contesto discontinuo: a Roma l’IVG è garantita in alcuni ospedali, ma i tempi d’attesa sono spesso incompatibili con l’urgenza della decisione, e molte donne finiscono col rivolgersi altrove o al privato.

E allora ben venga la Sicilia, se serve a ricordarci che la libertà di scelta non è un privilegio, ma un diritto e che l’obiezione di coscienza, se diventa regola e non eccezione, è un abuso.

Dietro ogni aborto c’è una storia che non ci riguarda, che non possiamo giudicare e che non ci appartiene.

Roma, città eterna, città delle battaglie civili, ha il dovere di vigilare, di pretendere che in ogni struttura sanitaria il diritto all’aborto sia garantito, non solo formalmente, ma concretamente. Perché quando si parla di IVG, ogni ostacolo, ogni ritardo, ogni silenzio è un fallimento dello Stato.

Il diritto di abortire non è un favore concesso, è una conquista civile, è la libertà di decidere sul proprio corpo, sulla propria vita e sul proprio futuro.
Una donna che sceglie di non diventare madre non è meno donna, né meno degna di rispetto.

Oggi è la Sicilia a dirci che si può cambiare, ora tocca a noi.

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