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Giulio Regeni: la Consulta “benedice” le indagini e l’Egitto è nei guai

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Giulio Regeni: la Consulta “benedice” le indagini e l’Egitto è nei guai

Oggi si celebra la vittoria del Giudice preliminare per l’indagini nei confronti della stessa legge Italiana, le indagini su Giulio Regeni possono e devono essere continuate.

L’iniziale Impasse vedeva il Giudice bloccato dallo stesso ordinamento Italiano, ma la Corte Costituzionale ha dichiarato non valido l’articolo 420-bis, comma 3, del codice di procedura penale.

Nelle Camere del Palazzo della Consulta i giudici si sono riuniti con il massimo riserbo per votare a favore o meno riguardo all’incostituzionalità dell’articolo che creava ingorgo.

Per la famiglia di Giulio, i suoi amici e la sua università la liberazione è grande, finalmente la magistratura Italiana potrà fare luce sulla verità riguardo questa terribile vicenda.

Il processo per il rapimento e l’uccisione del ricercatore, rapito e poi ritrovato senza vita a Il Cairo il 3 febbraio 2016, si è definitivamente sbloccato.

Il comma in questione, quello giudicato incostituzionale dalla maggioranza dei giudici riuniti prevedeva che il giudice non potesse procedere in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato, è impossibile avere la prova che quest’ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo.

Insomma il continuo ostracismo del governo Egiziano rischiava di creare un bruttissimo ingorgo delle indagini, questa tattica è stata scardinata dalla Corte Costituzionale.

La Consulta oltre a battersi per il Giudice per le indagini preliminari ha anche creato un nuovo spiraglio per nuove leggi sull’argomento.

La motivazione è chiara: impedire ad altri Italiani di fare la fine terribile che ha fatto il nostro Giulio Regeni.

Lazio Torino le probabili formazioni

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Roma, abusava delle allieve minorenni: arrestato allenatore di Taekwondo

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Roma, abusava delle allieve minorenni: arrestato allenatore di Taekwondo

(Adnkronos) – La polizia ha arrestato a Roma un allenatore di Taekwondo accusato di violenza sessuale aggravata perché avrebbe abusato di almeno tre ragazzine a partire dal 2023. Secondo quanto ricostruito l’uomo, che lavorava in una palestra in zona Pietralata, era riuscito a guadagnare la fiducia delle famiglie e delle allieve, iniziando ad avvicinarle e ad abusare sessualmente di loro, grazie alla sua capacità manipolatoria.  

A dare il via alle indagini, la denuncia di una mamma che, a partire da alcuni comportamenti anomali della figlia, era riuscita a farsi raccontare le violenze subite: secondo chi indaga, le violenze si consumavano all’interno del centro sportivo o nell’autovettura che l’istruttore, grazie al favore che aveva ormai acquisito tra le famiglie delle sue allieve, utilizzava per riaccompagnarle a casa dopo averle trattenute oltre l’orario di allenamento. Le pressioni e gli abusi non avevano incontrato una battuta d’arresto neppure dopo il rifiuto delle vittime: una di loro, pur di non continuare a subire violenze, aveva deciso di abbandonare la disciplina. 

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Quando a tradire è chi dovrebbe proteggere: la scuola e il dovere della vigilanza

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Quando a tradire è chi dovrebbe proteggere: la scuola e il dovere della vigilanza

La condanna a sette anni di carcere inflitta al professore di chimica di due scuole romane, accusato di aver molestato cinque studenti quindicenni e di possedere materiale pedopornografico, segna una tappa dolorosa ma necessaria in una vicenda che scuote nel profondo la fiducia delle famiglie nella scuola.
Le testimonianze dei ragazzi, le denunce coraggiose dei genitori, i filmati dei carabinieri hanno tolto ogni dubbio sulla realtà delle violenze subite. La pena inflitta — già ridotta per la scelta del rito abbreviato — è severa ma, per molti, comunque insufficiente per il dolore causato alle vittime.
Eppure questa sentenza deve rappresentare soprattutto un punto di partenza, perché non basta condannare chi ha commesso il male: bisogna interrogarsi sulle condizioni che lo hanno permesso e sulle azioni da mettere in campo per prevenire casi simili.
Come è possibile che un professore già sotto indagine sia rimasto al suo posto, continuando a «scherzare e toccare» ragazzi inermi? Come è possibile che la segnalazione di un collega e i comportamenti «poco professionali» osservati dai compagni non siano bastati a fermarlo prima? Cosa manca nei nostri istituti, nelle procedure disciplinari, nella formazione del personale e nella vigilanza interna?
La sicurezza psicologica e fisica dei ragazzi deve venire prima di ogni altra considerazione: occorrono linee guida chiare, sportelli di ascolto, formazione specifica per il personale e una cultura che non banalizzi certi comportamenti come “scherzi”, ma li riconosca subito come violenze.
Sette anni di carcere e l’interdizione perpetua da ruoli a contatto con minori impediranno a quell’uomo di fare altri danni, ma la sfida più grande è fare in modo che quei ragazzi, e tutti i loro coetanei, possano tornare a sentire la scuola come una casa sicura.

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