Attualità
Andiamo a infrangere la legge: video a 230 km/h in moto, multa di 20mila euro

Motociclisti Denunciati per Corse Illegali a 230 km/h su Strada: Multa da 20mila Euro
Quattro motociclisti veneti sono stati accusati di gareggiamento dopo aver pubblicato un video sui social in cui sfrecciano a 230 km/h in Trentino. La velocità folle e i sorpassi continui effettuati lungo le strade della regione hanno attirato l’attenzione delle forze dell’ordine, portando alla loro identificazione e denuncia.
Le Corse Spericolate in Trentino
Nel giugno scorso, sulle strade della provincia di Trento, i motociclisti hanno dato vita a una vera e propria competizione illegale. Partendo dalla Val d’Adige fino al Comune di Castello Molina di Fiemme, hanno messo a rischio la sicurezza stradale con manovre pericolose e sorpassi azzardati.
Il Video Incriminato
Il video intitolato “Andiamo a fare i criminali in val di Cembra” è stato registrato con una action cam montata sul casco di uno dei motociclisti. Una volta caricato sui social, il filmato è stato prontamente segnalato alle autorità, che hanno avviato le indagini per identificare i responsabili.
L’Intervento dei Carabinieri
Grazie al video e alle indagini successive, i carabinieri sono riusciti a identificare i quattro motociclisti. Questi sono stati successivamente deferiti alla Procura della Repubblica di Trento. Gli inquirenti hanno anche scoperto che i trasgressori si erano fermati all’interno di una galleria per verificare la presenza di forze di polizia prima di riprendere le corse pericolose.
Conseguenze e Pene
Se condannati, i motociclisti rischiano pene severe. Le sanzioni possono prevedere da sei mesi a un anno di reclusione, multe comprese tra 5.000 e 20.000 euro, la sospensione della patente per uno a tre anni e il sequestro delle motociclette.
[Fonte](https://www.fanpage.it/attualita/andiamo-a-fare-i-criminali-in-moto-si-filmano-a-230-km-in-strada-rischiano-20mila-euro-di-multa/)
Attualità
Transfobia dopo il Pride: un’aggressione che svela l’altra faccia di Roma
Attualità
La bandiera della Palestina a Ponza: un gesto di solidarietà e la deriva dell’intolleranza

Nella notte tra l’1 e il 2 giugno, intorno alle 2:30, un gruppo di barcaioli dell’isola di Ponza è stato oggetto di minacce per un semplice gesto di solidarietà: aver esposto la bandiera della Palestina sulle loro imbarcazioni come simbolo di sostegno ad una popolazione in una delle più gravi crisi umanitarie del nostro tempo. Dopo aver infastidito il guardiano del porto, gli autori dell’intimidazione hanno strappato e rimosso con la forza la bandiera palestinese.
È un episodio che va oltre il fatto in sé, perchè tocca il nervo scoperto di un’Italia che troppo spesso confonde la solidarietà con la provocazione e che si mostra incapace di accettare gesti di umanità se non allineati con un certo sentire politico.
Esporre la bandiera della Palestina, in questo contesto, non equivale a prendere parte a un conflitto, perchè è un’affermazione di empatia per le vittime civili, per i bambini sotto le bombe, per le famiglie distrutte da decenni di violenza. Non significa negare il dolore degli israeliani, né tantomeno giustificare il terrorismo, ma riconoscere la sofferenza di un popolo dimenticato e condannato.
Ponza, isola aperta al mondo, costruita nei secoli sull’accoglienza e sul passaggio di genti diverse, non merita che certi gesti vengano accolti con violenza. Il gesto di quei barcaioli va rispettato, anche da chi non lo condivide, perché la democrazia è proprio questo: il diritto di manifestare un pensiero pacifico, anche scomodo, senza temere ritorsioni.
Chi ha strappato quella bandiera ha voluto togliere voce a una parte della coscienza collettiva, ma non potrà strappare il senso più profondo della solidarietà umana.
In un tempo in cui il silenzio complice è la norma, chi ha il coraggio di esporsi, anche solo con un simbolo, merita rispetto, non intimidazioni.
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