Attualità
Lo studio rivela che i termovalorizzatori del Lazio possono danneggiare la salute

Secondo un report del Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio, le persone che risiedono nelle vicinanze dei termovalorizzatori del Lazio stanno registrando un aumento nel rischio di malattie respiratorie e cardiocircolatorie.
Il report è stata pubblicato nel nuovo canale WhatsApp di Roma Fanpage.it. Lo studio è stato condotto dal programma Eras del dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio, in collaborazione con Arpa Lazio. La ricerca ha rilevato che la presenza di termovalorizzatori all’interno della regione è dannosa per la salute dei cittadini. Negli ultimi anni, è stato riscontrato un aumento di malattie respiratorie, cardiache e cerebrovascolari tra la popolazione residente nelle vicinanze di questi impianti.
Il programma Eras ha rinnovato un vecchio studio del 2013. Secondo il documento, che è stato visionato in anteprima da Roma Today, è stato osservato “un aumento dei rischi di broncopneumopatie croniche ostruttive tra tutti i residenti.”. Le aree a media esposizione hanno registrano un aumento significativo dei rischi, principalmente per le donne, dove precedentemente non erano stati identificati rischi significativi. Lo studio ha analizzato i termovalorizzatori di San Vittore, di Acea, attivo dal 2002, e quello di Colleferro, attivo dal 2002 al 2018. Gli esperti suggeriscono che l’aumento del rischio di queste malattie è dovuto alla combustione di rifiuti dagli impianti, che emettono nell’aria sostanze nocive come il particolato, metalli pesanti, diossine e benzene.
Vivere nelle vicinanze, ovvero entro un raggio di cinque chilometri, di una delle nove discariche presenti nel Lazio possono causare problemi di salute. L’analisi aggiornata conferma un’associazione tra mortalità, morbosità e incidenza di tumori, soprattutto per le patologie dell’apparato respiratorio. Fra le discariche, vi è quella di Albano Laziale. Questa si trova a pochi chilometri di distanza dal nuovo termovalorizzatore che dovrebbe essere costruito a Santa Palomba.
In riferimento ai termovalorizzatori esistenti nel Lazio, c’è stata una forte reazione del Movimento 5 Stelle. Affermando che il sindaco Gualtieri non può ignorare i dati allarmanti emersi dallo studio, hanno chiesto l’abbandono del progetto a Santa Palomba. Il gruppo ha sottolineato l’importanza di salvaguardare i cittadini e ha sollecitato una revisione delle politiche sullo smaltimento dei rifiuti.
Il progetto del termovalorizzatore di Santa Palomba prevede un impianto di ultima generazione con emissioni inquinanti molto più basse rispetto a quelle dei termovalorizzatori più vecchi. Francesco Lombardi, professore alla Università di Roma Tor Vergata e tra gli autori del Libro Bianco sull’incenerimento dei rifiuti urbani, ha riferito che un termovalorizzatore ben progettato e correttamente gestito emette quantità relativamente modeste di inquinanti e contribuisce poco alle concentrazioni ambientali, e quindi non costituirebbe un rischio reale per la salute.
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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.
L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.
Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?
A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.
I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.
Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.
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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?
È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.
Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica
Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.
Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.
La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.
La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.
Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.
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