Mondo
Dengue che cos’è. Attenzione aumentata negli aeroporti e per chi arriva dal Brasile

La situazione della dengue, sta suscitando grande preoccupazione, con una rapida crescita dei contagi e dei decessi, specialmente in Brasile. Attualmente, ci sono già stati 1,5 milioni di casi nel paese sudamericano, con 1250 morti confermate e altre 800 in fase di accertamento. Questi numeri sono estremamente allarmanti, con il Brasile che ha registrato una media di 20.000 contagi al giorno dall’inizio dell’anno, rispetto ai 1.658.816 casi registrati nell’intero anno 2023. Le proiezioni del ministero della Salute brasiliano suggeriscono che i contagi potrebbero raggiungere anche i 5 milioni entro la fine dell’anno.
Dengue, la situazione in Sudamerica
Di fronte a questa situazione critica, diversi Stati brasiliani, come Rio Grande do Sul, Rio de Janeiro, San Paolo e il distretto federale di Brasilia, hanno dichiarato lo stato d’emergenza. Anche il Guatemala ha dichiarato lo stato di allerta epidemiologica, con 7.000 casi e tre decessi confermati. Allo stesso modo, il Perù ha dichiarato lo stato d’emergenza in diverse zone del paese, mentre in Argentina si stanno registrando numerosi focolai.
Le autorità stanno intensificando le campagne di prevenzione per contrastare la diffusione della zanzara Aedes Egypti, vettore del virus della dengue.
In Italia, sono previsti maggiori controlli nei porti e negli aeroporti, con disinsettazioni più frequenti degli aerei e delle navi, compresi quelli da crociera. Si sta valutando anche la possibilità di effettuare test rapidi in aeroporto per i viaggiatori provenienti da zone a rischio. Anche se al momento non c’è un’emergenza dichiarata, si stanno compiendo sforzi significativi per gestire l’ingresso delle persone provenienti dai paesi a rischio. Nel 2023, in Italia, sono stati segnalati 362 casi di dengue, di cui solo 82 autoctoni e gli altri importati dall’estero. I dati più recenti del ministero della Salute, a fine febbraio 2024, indicano 48 casi importati.
Attualità
L’ 8 e il 9 Giugno si vota: una scelta che riguarda tutti

L’8 e il 9 giugno milioni di cittadini italiani sono chiamati alle urne per esprimersi su due referendum abrogativi, che toccano temi centrali come il lavoro e l’immigrazione, e come troppo spesso accade, milioni di persone non ci andranno: rimarranno a casa per disillusione, per indifferenza, perché “tanto non cambia nulla”.
È una rinuncia, non solo a un diritto, ma a una possibilità concreta di contare, di orientare scelte che riguardano il lavoro e le politiche migratorie. Si vota per dire sì o no a norme che regolano direttamente i diritti dei lavoratori e le politiche migratorie.
Non partecipare a questo processo è un errore e, in parte, una colpa. Perché chi non vota, lascia agli altri la responsabilità di decidere. Ogni voto perso è un pezzo di democrazia lasciato indietro, un’occasione che si spegne.
In Italia siamo spesso bravi a lamentarci, a denunciare l’incoerenza dei partiti, l’inutilità delle istituzioni, la distanza della politica. Ma poi, quando c’è l’occasione per fare la propria parte, si resta indietro, si sceglie il silenzio.
Votare non è un atto eroico, non risolve tutto, non cambia il mondo da un giorno all’altro, ma è un segnale di partecipazione. C’è chi ha lottato, chi ha marciato, chi ha sfidato regimi, censure e repressioni per ottenerlo. In Italia, fino al 1946 le donne non potevano votare, è passato meno di un secolo, e prima ancora milioni di italiani – poveri, analfabeti, lavoratori – erano esclusi dalle urne per legge.
Il suffragio universale è una conquista recente ed è costato sacrifici e battaglie civili. E oggi, non partecipare al voto con indifferenza significa anche mancare di rispetto a quella memoria, a chi ha aperto la strada per farci contare e per farci scegliere.
Chi ha perso il diritto al voto, nella storia, sa quanto vale.
Noi lo diamo per scontato, e invece oggi, più che mai, va difeso.
L’8 e il 9 giugno si vota. Non è uno slogan, è un invito, ma anche qualcosa di più: una responsabilità personale e collettiva. Chi se ne tira fuori, poi, non potrà dire che la politica non lo rappresenta, perché ha scelto di non esserci.
Attualità
Statua Venere a Berlino rimossa per sessismo: arte sotto attacco o censura culturale?

Una decisione che fa discutere in tempi in cui la sensibilità collettiva verso le questioni di genere è (giustamente) in aumento, la rimozione di una statua raffigurante una Venere nuda a Berlino ha acceso un dibattito infuocato: l’opera, che riprendeva la tradizione classica della nudità femminile, è stata tolta dallo spazio pubblico con l’accusa di essere sessista.
La nudità nell’arte non è pornografia, né oggettificazione del corpo, ridurre ogni rappresentazione del nudo a una questione di “sessismo” è non solo limitato, ma pericolosamente superficiale.
Quando un’opera viene censurata non perché offende, ma perché potrebbe essere interpretata in modo offensivo, entriamo in un terreno dove il contesto, la storia e l’intenzione artistica vengono messi da parte in favore di una morale istantanea e poco riflessiva.
L’arte, per sua natura, non è sempre comoda né rassicurante: provoca, interroga, a volte disturba. Chiedere all’arte di conformarsi a uno standard etico e morale “sicuro” rischia di svuotarla di senso.
Infine, paradossalmente, è proprio questo tipo di censura che rischia di oggettificare la donna: non l’immagine in sé, ma l’idea che una figura femminile nuda non possa esistere nello spazio pubblico senza essere letta come offesa o strumento di dominio. Una donna nuda, in arte, non è automaticamente una vittima: può essere una dea, una madre, o semplicemente un simbolo estetico. Trattarla come un tabù è togliere complessità, non aggiungerla.
La battaglia per l’uguaglianza di genere è sacrosanta, ma confondere le immagini con le intenzioni è una forma di semplificazione che impoverisce tutti.
Rimuovere la statua della Venere a Berlino non è un passo avanti per le donne, ma un passo indietro per la cultura.
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