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Problemi a SpaceX: Elon Musk deve intervenire prima del nono lancio di Starship, caos nella sede

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Problemi a SpaceX: Elon Musk deve intervenire prima del nono lancio di Starship, caos nella sede

È scoppiato lo scandalo dietro le quinte di SpaceX? #SpaceXInCrisis

Ex dipendenti di SpaceX stanno facendo tremare le basi dell’azienda con accuse di una cultura lavorativa tossica e inquietanti falle di sicurezza, proprio mentre si avvicina il nono volo di prova della Starship. In un momento di tensioni altissime, voci dall’interno rivelano un ambiente di lavoro che potrebbe minacciare il futuro del colosso spaziale, lasciando tutti a chiedersi: cosa sta succedendo davvero nel regno di Elon Musk?

Accuse choc da chi ha lavorato sul fronte

Negli ultimi giorni, sono emerse denunce scottanti su social network come X, dove ex impiegati descrivono Starbase, la sede texana di SpaceX, come un luogo di caos e disillusione. Morgan Wyatt Khan, un ex addetto all’installazione dei motori di Starship, lamenta di aver abbandonato un lavoro amato a causa del “comportamento ripugnante e demoralizzante della direzione”. Nei suoi messaggi, denuncia furti, rischi come esposizioni all’azoto e persino “pietre, viti, spazzatura e rifiuti umani” nei razzi, oltre a problemi ignorati su sistemi idraulici difettosi. È possibile che questi guai nascano da una progettazione negligente o dal fatto che “Elon ha lasciato SpaceX in pilota automatico mentre si dedica alle sue avventure alla Casa Bianca”?

La gestione sotto accusa: storie di esaurimento e negligenza

Dylan Small, che ha contribuito al Falcon 9 e poi allo Starship, etichetta la gestione di Starbase come “terribile”. Racconta di aver contratto la tubercolosi sul lavoro, con l’azienda che ha risposto in modo “assolutamente inaccettabile”, offrendo “zero sostegno reale e una totale mancanza di attenzione”. Small aggiunge che ingegneri si appropriavano di idee altrui, che le sue proposte per orari più efficienti sono state respinte, e che non aveva mai visto “un tale turnover di personale e disfunzioni amministrative”. “Amici con più di 15 anni di esperienza in SpaceX si chiedono cosa diavolo sia successo”.

Nonostante le ombre, c’è una nota di speranza nelle parole di Small: “Il morale è basso. Le persone sono esaurite e iniziano a sentirsi abbandonate. Per favore, torna”. Questa invocazione ha colpito nel segno, con Elon Musk che ha confermato il suo ritorno a Starbase la prossima settimana per un discorso prima del lancio, alimentando la curiosità su come risolverà questa crisi interna. Mentre la Starship 35 si prepara al decollo, tutti gli occhi sono puntati su SpaceX: il gigante dello spazio riuscirà a spegnere le fiamme del malcontento?

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.

L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.

Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?

A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.

I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.

Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?

È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.

Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica

Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.

Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.

La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.

La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.

Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.

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