Cronaca
ROMA Arrestata colf brasiliana: drogava e derubava anziani

ROMA Arrestata colf brasiliana: drogava e poi derubava gli anziani datori di lavoro.
ROMA Arrestata colf brasiliana. Derubava di gioielli ed argenteria i suoi datori di lavoro, in prevalenza anziani. Che in alcuni casi potrebbero essere stati anche drogati: in casa di una delle vittime è stato infatti trovato nascosto un farmaco sedativo-ipnotico.
La ladra, L.D.O.L., agiva secondo un sistema ben collaudato: con la complicità del marito, si affidava ad un famoso sito on line per offirsi come badante/colf referenziata. Carpita la fiducia del datore di lavoro, lo derubava poi dell’argenteria, dei soldi e dei gioielli.
In genere, al primo colloquio di lavoro, la donna dichiarava di aver lavorato fino a poco tempo prima per un professionista. Quest’ultimo, diceva, era però sempre in viaggio, per cui poteva essere contattato solo sul suo cellulare. La vittima, a quel punto, lo chiamava per assicurarsi delle referenze: peccato che dietro la cornetta vi fosse in realtà il marito della donna, che ne confermava il racconto.
Il trucco ha funzionato anche per farsi assumere da una famiglia residente in zona piazza Cavour. Al primo furto, delle posate in argento, le vittime hanno subito denunciato ed allontanato la brasiliana, che intanto aveva fatto sparire anche un paio di orecchini con brillanti, del valore superiore ai 100 mila euro. Raccolta la denuncia, gli agenti del commissariato Borgo hanno subito avviato le indagini.
I poliziotti hanno subito scoperto che il cellulare del sedicente professionista era in realtà intestato ad un familiare della colf e di fatto in uso al marito della donna. Recatisi in un piccolo centro in provincia dell’Aquila, hanno perquisito l’abitazione dei sospettati, rinvenendo 2 pezzi dell’argenteria rubata. Da accertamenti sull’identità della donna, gli agenti hanno poi scoperto che aveva a carico una recente condanna per ricettazione e alcuni procedimenti per fatti simili a quelli sopra descritti. Grazie agli elementi raccolti, il GIP del Tribunale di Roma ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti della donna, da alcuni giorni, nella sezione femminile del carcere di Rebibbia.
I successivi accertamenti hanno poi condotto i poliziotti in una gioielleria del centro di Roma, dove, in bella mostra, c’erano i 2 orecchini di brillanti rubati. Controllato dagli investigatori con la collaborazione della Divisione Amministrativa della Questura, all’interno del negozio sono stati trovati anche altri pezzi non annotati nel registro.
Passando al setaccio la vita della brasiliana, i poliziotti si sono successivamente imbattuti in un precedente “lavoro” durato pochi giorni a casa di una coppia di anziani. Il figlio della coppia ha raccontato che durante la permanenza della colf, oltre alla sparizione di alcuni gioielli, si sono registrati anche peggioramenti della salute dei genitori, con svenimenti improvvisi “misteriosamente” cessati dopo il licenziamento di L.D.O.L.
Il figlio ha inoltre raccontato che pochi giorni dopo il licenziamento, la nuova colf ha trovato, nascosta in una bambola porta-buste, una boccetta aperta di un farmaco benzodiazepinico sedativo-ipnotico. Con una precisa raccomandazione nel bugiardino: “Anziani: l’uso di benzodiazepine, può essere associato con un aumento del rischio di cadute dovuto agli effetti indesiderati quali atassia, debolezza muscolare, capogiri, sonnolenza, stanchezza e affaticamento”. La polizia sta dunque verificando se il farmaco era stato uno dei tanti artifici utilizzati dalla donna brasiliana per frodare le sue anziane vittime.
Attualità
Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.
L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.
Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?
A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.
I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.
Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.
Ultime Notizie Roma
Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?
È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.
Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica
Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.
Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.
La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.
La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.
Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.
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