Cronaca
Milioni di euro ripuliti al casinò: denunciato pregiudicato romano

Milioni di euro ripuliti al casinò: denunciato un pregiudicato romano.
Milioni di euro ripuliti al casinò. Oltre 19, facenti parte di una rete di riciclaggio scoperta dalla Guardia di Finanza del Gruppo di Frosinone. Oltre ai soldi, le Fiamme Gialle hanno individuato un’evasione fiscale internazionale per oltre 14 milioni di euro. Una denuncia è stata dunque comminata a 13 persone, accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere, bancarotta, riciclaggio ed omessa presentazione della dichiarazione dei redditi.
In un primo momento, i Finanzieri frusinati hanno lavorato sulla posizione di due soggetti, un ciociaro e un romano, responsabili di numerosi reati contro il patrimonio. Attivi nella provincia ciociara e frequentatori di casinò, erano accusati di riciclaggio: avrebbero infatti cambiato numerosi assegni, di cui poi avrebbero versato l’ammontare in contanti nelle casse di una sala giochi. Oltre 500mila euro, questa la cifra frutto del reato, proveniente dal fallimento di alcune società.
In seguito, sono stati individuati altri 10 soggetti, campani e pugliesi, tutti pregiudicati e nullatenenti. Sarebbero infatti stati presenti nel casinò nello stesso momento dei precedenti investigati. A carico di questi ultimi, gli inquirenti hanno scovato cambi assegni e versamenti in contanti per oltre 18 milioni di euro. In tali operazioni, gli interessati si preoccupavano che l’importo non superasse mai la soglia consentita dalla normativa antiriciclaggio.
Scoperta inoltre un’agenzia di “porteur”, con sede dichiarata nel Regno Unito ma operante in Italia. Il proprietario, un cittadino italiano iscritto all’A.I.R.E. ma residente in Italia, reperiva i clienti e li portava poi presso i vari casinò italiani. Nel caso di quello oggetto di accertamenti, si occupava direttamente dell’accesso, dell’assistenza e di organizzare e gestire l’ospitalità, sia prima che dopo l’ingresso alla casa di gioco.
Era stata proprio quest’agenzia a introdurre tutti i soggetti investigati presso la casa di gioco, cui era legata da un rapporto di affari. A essa infatti il casino riconosceva una percentuale sugli importi che gli avventori utilizzavano sul tavolo verde
Analizzando i documenti e i movimenti bancari degli investigati, gli inquirenti scoprivano da dove provenivano gli assegni usati nel casinò. Individuavano inoltre 20 milioni di euro depositati all’estero, nonchè totali 81 milioni di euro di giocate effettuate tramite l’agenzia tra 2012 e 2017.
Per questi ultimi, l’agenzia aveva ricevuto un corrispettivo di oltre 5 milioni di euro, su cui, grazie alla falsa residenza all’estero dichiarata, non aveva pagato le tasse in Italia.
Per questo, a carico del proprio socio unico e legale rappresentante, sono state eseguite due distinte verifiche fiscali. Ciò per recuperare le imposte evase sui redditi e dell’I.R.A.P. dei redditi prodotti in Italia. In questo caso, la cifra complessiva ammonta a oltre 14 milioni di euro.
Attualità
Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.
L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.
Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?
A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.
I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.
Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.
Ultime Notizie Roma
Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?
È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.
Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica
Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.
Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.
La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.
La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.
Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.
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