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Cronaca

OSTIA 4 arresti e 6 denunce durante i controlli sul territorio

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OSTIA 4 arresti e 6 denunce durante i controlli sul territorio

OSTIA 4 arresti e 6 denunce durante i controlli sul territorio.

OSTIA 4 arresti e 6 denunce. Questo il bilancio dell’attività di controllo sul territorio operata dai Carabinieri di Ostia. Il monitoraggio, in collaborazione con il NAS e il Nucleo Ispettorato del Lavoro, si è concentrato in particolare sui luoghi della movida: numerosi gli esercizi commerciali e gli stabilimenti balneari controllati, così come le sanzioni elevate. Queste ultime hanno riguardato violazioni delle disposizioni anti Covid 19, ma anche delle normative in materia alimentare.

Circa 40, tra Ostia e Fregene, le attività oggetto di verifiche: rilevate in 4 casi carenza di norme igieniche e inottemperanza alle disposizioni anti contagio. Denunciati inoltre 2 titolari di attività di vendita di generi alimentari, per aver somministrato bevande alcoliche oltre le 22. Elevate anche sanzioni per un totale di quasi 5mila euro.

In manette, su disposizione del Tribunale di Roma, è invece finito un pregiudicato 42enne, accusato di atti persecutori. Vittima l’ex compagna, che l’uomo, moldavo ma residente a Ostia, aveva più volte minacciato telefonicamente e molestato anche con pedinamenti. La donna, terrorizzata, ha così denunciato tutto ai Carabinieri, i quali hanno indagato e poi riferito i risultati all’Autorità Giudiziaria. E proprio quest’ultima ha disposto il trasferimento del 42enne presso il carcere di Regina Coeli.

Arrestato nella notte anche un 18enne cileno, con precedenti: avrebbe tentato di sottrarsi ad un controllo, effettuato in via della Paranzella, dandosi repentinamente alla fuga. Inseguito a piedi per un breve tratto, è stato alfine raggiunto e, dopo una breve colluttazione, bloccato. Arrestato, è stato trattenuto presso la camera di sicurezza della caserma, in attesa dell’udienza di convalida.

E’ finito invece nel carcere di Civitavecchia un 32enne di Fiumicino: nonostante gli arresti domiciliari, aveva continuato a perseguitare l’ex compagna con molestie telefoniche e minacce di morte. Proprio la donna ha nuovamente denunciato i fatti ai Carabinieri, che ne hanno avvisato il magistrato di sorveglianza. E quest’ultimo ha revocato i domiciliari all’uomo, disponendone l’immediato trasferimento in carcere.

Ad Acilia è stato invece identificato l’uomo che ieri, dopo una lite per futili motivi, ha incendiato un contenitore dei rifiuti di fronte l’abitazione del rivale, dandosi poi alla fuga. 36 anni, brasiliano, in Italia senza fissa dimora, è stato individuato e denunciato in stato di libertà per danneggiamento a seguito del rogo.

Fiumicino è stato invece teatro dell’arresto, disposto dal Tribunale di Roma, di un 55enne. I militari lo hanno rintracciato nell’abitazione di una conoscente, agli arresti domiciliari per reati contro il patrimonio. La donna ha provato a nasconderne la presenza, ma a tradirla è stato il suo atteggiamento eccessivamente. Ai Carabinieri, che hanno perquisito lo stabile, sono bastati pochi minuti per trovare il malfattore. Arrestato, è stato condotto al carcere di Civitavecchia, dove deve scontare 5 anni per reati legati agli stupefacenti. Per la donna invece è scattata la denuncia per favoreggiamento.

A Ostia un controllo notturno della circolazione stradale ha portato al fermo di un giovane, alla guida di un’auto di grossa cilindrata. In evidente stato di alterazione psicofisica, è stato sottoposto all’etilometro, risultando positivo. Ricondotto alla calma dopo alcune offese rivolte agli operanti, è stato infine denunciato a piede libero.

Sempre nel cuore della notte, un uomo originario dell’Ecuador ha fermato la sua auto davanti la Stazione dei Carabinieri di Vitinia. Ha citofonato e ha raccontato in maniera molto confusa di essere stato derubato poco prima. 27enne con precedenti, è apparso barcollante e sconnesso nel linguaggio, forse a causa dell’abuso di alcool. Dopo qualche minuto, all’improvviso ha provato ad allontanarsi con l’auto, ma i militari, visto il suoo stato, glielo hanno impedito, chiedendogli invece di sottoporsi al test alcolemico. Una richiesta che ha fatto andare in escandescenze l’uomo, che ha minacciato e offeso i militari. Esagitato, ha poi rifiutato di fare il test e di essere soccorso dai sanitari del 118. Per fortuna è intervenuta la compagna, che, contattata, lo ha riportato a casa. Non prima però di essersi preso una denuncia. Poche ore dopo, sempre a Vitinia, un 27enne è stato denunciato in stato di libertà: intorno alle 5, una pattuglia lo ha sorpreso a scrivere il suo nome con una bomboletta spray sul muro esterno della fermata della metropolitana.

Attualità

Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.

L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.

Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?

A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.

I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.

Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?

È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.

Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica

Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.

Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.

La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.

La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.

Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.

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