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Cronaca

Primavalle – Sequestrati 7 kg di stupefacenti. 16 arrestati

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Primavalle – Sequestrati 7 kg di stupefacenti. 16 arrestati

Primavalle – Arresti per spaccio nel quartiere

Gli agenti del XIV distretto Primavalle hanno arrestato tre uomini italiani di 25, 22 e 42 anni, per spaccio di sostanza stupefacente e per intralcio alla giustizia.

Nel corso delle indagini finalizzate al contrasto del fenomeno dello spaccio, i poliziotti hanno notato due autovetture, di cui una con due persone a bordo, che accedevano al cortile di un complesso edilizio.

Uno dei poliziotti ha raggiunto a piedi una delle due auto posteggiata di fronte all’accesso dei palazzi, mentre gli altri rimanevano appostati, ed ha notato subito il movimento sospetto tra due uomini che si affacciavano dalla scalinata che dava sulla strada e di un altro uomo rimasto in macchina.

Appena uno dei due si è portato verso il baule dell’autovettura posteggiata, l’uomo a bordo è sceso per consegnare un borsone, a quel punto, il poliziotto, qualificandosi, ha cercato di bloccarli, venendo però colpito con il borsone lanciatogli addosso dall’uomo uscito dal palazzo, che si è dato poi alla fuga seguito dall’agente.

Gli altri poliziotti, invece, hanno bloccato il conducente dell’auto insieme all’uomo rimasto nel palazzo. All’interno del borsone sono stati rinvenuti 70 panetti di hashish, per un peso totale di 7 kg circa.

Gli investigatori sono poi riusciti a risalire al terzo uomo recandosi presso la sua abitazione; il 25enne, rintracciato telefonicamente, poco dopo è ritornato a casa, con abiti diversi e un altro taglio di capelli. I tre sono stati arrestati e in sede di direttissima è stato convalidato l’arresto, al 25enne è stata applicata la misura degli arresti domiciliari mentre agli altri due nessuna misura cautelare.

Si comunica che l’indagato è da ritenersi innocente fino a un definitivo accertamento di colpevolezza con sentenza irrevocabile.

Nelle sole ultime 24 ore gli agenti della Polizia di Stato hanno proceduto all’arresto di altre 13 persone che, in diverse operazioni, sono state colte nella flagranza di detenzione e spaccio di stupefacenti.

Casilino, Torpignattara, Fidene, Primavalle, Romanina, Viminale, Appio, Celio le zone interessate dove sono stati circa 200 grammi di stupefacenti tra hashish, cocaina e marijuana e 2 mila euro in contanti.

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Gualtieri: “i romani? Evasori”

 

Attualità

Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

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Roma, giovane cuoco ucciso al parco: si indaga su una tentata rapina, ma il portafoglio era intatto

Tragedia alla Montagnola, nella periferia sud della Capitale: Mamun Miah, 27 anni, cittadino del Bangladesh e cuoco in un ristorante di piazza Venezia, è stato trovato senza vita al parco della Solidarietà, nei pressi del civico 393 di via Cristoforo Colombo. Il giovane è stato colpito al torace da una coltellata che non gli ha lasciato scampo, l’aggressore è fuggito ed è tuttora ricercato.

L’ipotesi investigativa principale resta quella della rapina finita male. Secondo alcuni amici della vittima, connazionali che spesso trascorrevano con lui le serate nel parco dopo il lavoro, Mamun avrebbe reagito a un tentativo di furto ed è stato accoltellato. I testimoni, pur trovandosi a una certa distanza al momento dell’attacco, raccontano di averlo visto discutere animatamente con un uomo nei pressi di un centro sportivo, non lontano dalla sua abitazione in via dell’Arcadia.

Ma il dettaglio che lascia perplessi è che nella tasca dei pantaloni del giovane è stato rinvenuto il portafoglio, completo di denaro e documenti. Un elemento che complica la lettura del movente: perché uccidere per rapinare, se poi l’aggressore fugge a mani vuote?

A destare ulteriori sospetti è l’identikit tracciato dagli amici di Mamun, che indicano come possibile responsabile un senzatetto della zona, noto per aggirarsi nei pressi del parco. Al momento, però, l’uomo non è stato rintracciato.

I carabinieri della compagnia Eur, insieme ai colleghi della stazione di San Sebastiano, stanno conducendo le indagini e sono già state acquisite le immagini delle videocamere di sorveglianza presenti nell’area per cercare di identificare chi fosse nei paraggi al momento del delitto. Sarà anche l’autopsia a fornire risposte decisive, chiarendo l’esatta dinamica dell’aggressione e se la vittima abbia tentato di difendersi.

Mamun Miah viveva da solo e lavorava duramente per mantenersi. I familiari, rimasti in Bangladesh, sono stati avvisati della tragedia. Nel frattempo, la comunità bengalese di Roma è sotto shock e chiede giustizia per un giovane la cui unica colpa sembra essere stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Un omicidio così brutale, in un contesto apparentemente tranquillo, riaccende i riflettori sulla sicurezza nelle aree periferiche della città: luoghi spesso dimenticati, dove la presenza delle forze dell’ordine non è costante e il degrado sociale favorisce l’emergere di situazioni pericolose. La morte di Mamun Miah non può restare solo una notizia di cronaca: deve spingere a riflettere su come tutelare davvero chi lavora onestamente e cerca solo una vita dignitosa.

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

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Quando la fede diventa spettacolo: il caso del nuovo imam di Bologna

La figura dell’imam, tradizionalmente, ha un ruolo fondamentale: guida spirituale, punto di riferimento religioso e promotore di dialogo e di pace nella comunità. Ma cosa accade quando la predicazione si trasforma in spettacolo social, e le invocazioni in contenuti virali su TikTok?

È quanto sembra emergere dal caso del nuovo imam di Bologna, subentrato dopo che lo storico imam Zulfiqar Khan è rimasto bloccato in Pakistan per motivi di sicurezza nazionale. Il nuovo arrivato, giovane e popolare, ha portato con sé un linguaggio decisamente più acceso, una comunicazione più aggressiva e una presenza social sempre più invadente.

Le dichiarazioni dell’imam, come quando critica i musulmani che si scambiano gli auguri di Natale, definendo questo gesto inaccettabile perché “a Natale è nato il figlio di Dio, e dire che Allah abbia un figlio è un insulto”, oppure quando afferma che donne e uomini non dovrebbero parlarsi liberamente, non sono semplicemente controverse: sono l’espressione di una visione chiusa e rigida, profondamente in contrasto con i principi di libertà e convivenza che costituiscono le fondamenta della nostra società democratica

Non è questo l’Islam che conosciamo attraverso tante persone musulmane che vivono e lavorano pacificamente in Italia, che credono in una fede fatta di rispetto, carità, umiltà e fratellanza. Non è questo l’Islam che, anche nelle sue interpretazioni più conservatrici, invita al confronto con il mondo e non alla sua demonizzazione.

Ma è proprio qui il punto dolente: il confine tra religione e ideologia, tra fede e potere, tra guida spirituale e influencer radicale. La religione, qualunque essa sia, non può essere usata per intimidire, per imporre un modello di comportamento che nega libertà individuali, specialmente alle donne.

La preoccupazione sollevata da alcune voci politiche non può essere liquidata come semplice allarmismo: siamo di fronte a una forma di radicalizzazione che si traveste da predicazione, ma che nei fatti mina le basi della convivenza civile. Quando un imam, per di più giovane e popolare sui social, usa il pulpito per attaccare, giudicare e dividere, non sta diffondendo fede: sta alimentando una cultura del sospetto, della chiusura e del controllo.

La cosa più pericolosa è che tutto questo avviene sotto gli occhi di tutti, in video che raggiungono migliaia di visualizzazioni e parlano a un pubblico spesso giovane, in cerca di riferimenti e identità.

Continuare a ignorare questi segnali significa lasciare spazio all’estremismo, legittimarlo con il silenzio e permettere che cresca anche dove si dovrebbe invece coltivare il dialogo.

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