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Scontri Indonesia, tragedia allo stadio: 180 vittime e centinaia di feriti (VIDEO)

Scontri Indonesia, il parapiglia tra spettatori e forze dell’ordine scatenato dalla sconfitta della squadra di casa

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Scontri Indonesia, tragedia allo stadio: 180 vittime e centinaia di feriti (VIDEO)

Scontri Indonesia, l’ennesima orrenda pagina per il mondo del calcio. Risultato, circa 180 persone che hanno perso la vita nella calca e un centinaio rimaste ferite. Il triste bilancio è stato registrato a Malang, località della provincia orientale di Giava. Al fischio finale del direttore di gara, migliaia di tifosi locali, ‘delusi’ per la sconfitta della propria squadra, si sono riversi sul terreno verde. Nel tentativo di disperderli, le forze dell’ordine hanno quindi iniziato a sparare gas lacrimogeni. Da qui si è scatenato si è un vero e proprio parapiglia. Il bilancio è stato confermato, oltre che dai media del paese asiatico, anche, su Twitter, dalla squadra perdente, l’Arema Fc.

SCONTRI INDONESIA, ANCHE UN BIMBO TRA LE VITTIME

Che, dopo un’imbattibilità durata vent’anni, è stata sconfitta per 3-2 dai rivali del Persebaya Surabaya. Il governatore Emil Dardak, ai microfoni di una TV locale, ha rivelato che i feriti sono ricoverati in otto ospedali e che 11 di essi sono in condizioni critiche. Una fonte dall’ospedale ha invece attestato la presenza tra i deceduti di un bimbo di appena 5 anni. Come detto, all’origine di tutto c’è stato il lancio di lacrimogeni degli agenti: il resto del pubblico, rimasto sugli spalti, è stato infatti preso dal panico e ha dato vita ad un fuggi fuggi disordinato. Sono state scavalcate persino le recinzioni dello stadio, nel disperato tentativo disperato di mettersi in salvo.

SCONTRI INDONESIA, LE INDAGINI DELLE AUTORITA’

Al momento degli scontri Indonesia, nell’impianto c’erano circa 42mila persone, tante quante lo stesso ne poteva contenere. Di queste però appena 3mila sarebbero state protagoniste dell’invasione di campo. E altri atti di teppismo si sono verificati anche all’esterno dello stadio: diverse auto, tra cui un camion della Polizia, sono state infatti date alle fiamme e danneggiate. Le autorità indonesiane hanno ora annunciato l’apertura di un’indagine sulla vicenda: in particolare, verrà condotta una “valutazione completa dei match di calcio e delle relative procedure di sicurezza“.

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L’ 8 e il 9 Giugno si vota: una scelta che riguarda tutti

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L’ 8 e il 9 Giugno si vota: una scelta che riguarda tutti

L’8 e il 9 giugno milioni di cittadini italiani sono chiamati alle urne per esprimersi su due referendum abrogativi, che toccano temi centrali come il lavoro e l’immigrazione, e come troppo spesso accade, milioni di persone non ci andranno: rimarranno a casa per disillusione, per indifferenza, perché “tanto non cambia nulla”.

È una rinuncia, non solo a un diritto, ma a una possibilità concreta di contare, di orientare scelte che riguardano il lavoro e le politiche migratorie. Si vota per dire sì o no a norme che regolano direttamente i diritti dei lavoratori e le politiche migratorie.

Non partecipare a questo processo è un errore e, in parte, una colpa. Perché chi non vota, lascia agli altri la responsabilità di decidere. Ogni voto perso è un pezzo di democrazia lasciato indietro, un’occasione che si spegne.

In Italia siamo spesso bravi a lamentarci, a denunciare l’incoerenza dei partiti, l’inutilità delle istituzioni, la distanza della politica. Ma poi, quando c’è l’occasione per fare la propria parte, si resta indietro, si sceglie il silenzio.

Votare non è un atto eroico, non risolve tutto, non cambia il mondo da un giorno all’altro, ma è un segnale di partecipazione. C’è chi ha lottato, chi ha marciato, chi ha sfidato regimi, censure e repressioni per ottenerlo. In Italia, fino al 1946 le donne non potevano votare, è passato meno di un secolo, e prima ancora milioni di italiani – poveri, analfabeti, lavoratori – erano esclusi dalle urne per legge.
Il suffragio universale è una conquista recente ed è costato sacrifici e battaglie civili. E oggi, non partecipare al voto con indifferenza significa anche mancare di rispetto a quella memoria, a chi ha aperto la strada per farci contare e per farci scegliere.

Chi ha perso il diritto al voto, nella storia, sa quanto vale.
Noi lo diamo per scontato, e invece oggi, più che mai, va difeso.

L’8 e il 9 giugno si vota. Non è uno slogan, è un invito, ma anche qualcosa di più: una responsabilità personale e collettiva. Chi se ne tira fuori, poi, non potrà dire che la politica non lo rappresenta, perché ha scelto di non esserci.

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Statua Venere a Berlino rimossa per sessismo: arte sotto attacco o censura culturale?

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Statua Venere a Berlino rimossa per sessismo: arte sotto attacco o censura culturale?

Una decisione che fa discutere in tempi in cui la sensibilità collettiva verso le questioni di genere è (giustamente) in aumento, la rimozione di una statua raffigurante una Venere nuda a Berlino ha acceso un dibattito infuocato: l’opera, che riprendeva la tradizione classica della nudità femminile, è stata tolta dallo spazio pubblico con l’accusa di essere sessista.

La nudità nell’arte non è pornografia, né oggettificazione del corpo, ridurre ogni rappresentazione del nudo a una questione di “sessismo” è non solo limitato, ma pericolosamente superficiale.

Quando un’opera viene censurata non perché offende, ma perché potrebbe essere interpretata in modo offensivo, entriamo in un terreno dove il contesto, la storia e l’intenzione artistica vengono messi da parte in favore di una morale istantanea e poco riflessiva.

L’arte, per sua natura, non è sempre comoda né rassicurante: provoca, interroga, a volte disturba. Chiedere all’arte di conformarsi a uno standard etico e morale “sicuro” rischia di svuotarla di senso.

Infine, paradossalmente, è proprio questo tipo di censura che rischia di oggettificare la donna: non l’immagine in sé, ma l’idea che una figura femminile nuda non possa esistere nello spazio pubblico senza essere letta come offesa o strumento di dominio. Una donna nuda, in arte, non è automaticamente una vittima: può essere una dea, una madre, o semplicemente un simbolo estetico. Trattarla come un tabù è togliere complessità, non aggiungerla.

La battaglia per l’uguaglianza di genere è sacrosanta, ma confondere le immagini con le intenzioni è una forma di semplificazione che impoverisce tutti.

Rimuovere la statua della Venere a Berlino non è un passo avanti per le donne, ma un passo indietro per la cultura.

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